La Germania e la pallacanestro: una storia che precede le recenti vittorie internazionali

La Germania e la pallacanestro: una storia che precede le recenti vittorie internazionali

(di FRANCESCO RIVANO). Per ogni sport che si rispetti ci sono delle nazioni di riferimento che tendono ad eccellere nelle competizioni internazionali. In molti paesi, in effetti, alcuni sport sono considerati delle vere e proprie religioni, vengono insegnati fin dalla tenera età ai bambini, sono tramandati di generazione in generazione entrando a far parte del DNA dei popoli in cui questi sport sono nati, si sono sviluppati o sono stati importati. In Italia, così come nell’America Latina è facile pensare al calcio. Chi da bambino non ha mai tirato un calcio a un pallone per stare in compagnia degli amici. Nonostante le ultime prestazioni della nostra nazionale non siano state entusiasmanti (non disputiamo un mondiale dal lontano 2014) il calcio resta comunque lo sport principe del Bel Paese relegando su un piano secondario altri sport che comunque sia stanno dando maggiori soddisfazioni al mondo sportivo tricolore. Un altro esempio può essere il Cricket, sport di riferimento della cultura anglosassone ancor di più sviluppatosi nelle colonie della corona Inglese e nelle varie province del Commonwealth. India e Pakistan oltreché i paesi della lontana Oceania fanno di questo sport un fiore all’occhiello per emergere nelle competizioni a livello globale. Altro esempio di riferimento è sicuramente il Baseball, che sviluppatosi, nella variante che conosciamo oggi, nel Nord America, ha spopolato nelle isole Caribiche come Cuba, Repubblica Dominicana e Porto Rico e trovato terreno fertile in Giappone fin dalla fine del 1800 grazie all’importazione di matrice statunitense. Insomma è un classico trovare le nazioni menzionate ai vertici degli sport succitati: l’Argentine campione del mondo di Calcio, Australia campione del mondo di Cricket, il Giappone campione Olimpico e Mondiale di Baseball. E sotto canestro?

La storia del basket è nota o meno a tutti. Rinfreschiamo la memoria in maniera abbastanza sintetica a quei pochi che ci leggono per la prima volta. Alla fine del diciannovesimo secolo un professore canadese trapiantato nel Massachusetts crea un passatempo per i suoi alunni costretti a stare chiusi nelle aule dello YMCA di Springfield a causa delle lunghe nevicate tipiche del New England. “Se non si può giocare a football (sport di riferimento statunitense di fine ‘800) inventiamo un altro sport: cerchiamo di infilare una palla in un cesto usato per la raccolta delle pesche”. Ecco che il professor Naismith crea il basket che si evolverà fino alle versione che seguiamo con tanta passione. Sono quindi gli Stati Uniti la nazione di riferimento per il basket e se mai siete stati oltreoceano o se solo avete visto qualche film (gli statunitensi dovrebbero essere piuttosto bravi nell’arte del cinema) avrete notato come raramente nei giardini delle case di abitazione manchi un canestro. Insomma i ragazzini statunitensi nascono a pane e basket e le scuole fanno la loro parte per sviluppare la propensione allo sport dei giovanotti al di là dell’Atlantico. E allora da qui la deduzione semplice: Stati Uniti d’America campioni in qualsiasi competizione! Barrare si alla voce Olimpiadi; mettere una croce piuttosto grande alla voce Mondiali. E già perché i campioni del mondo in carica sono i tedeschi, freschi vincitori anche dell’Europeo a scapito di nazioni del vecchio continente dove il basket è molto più radicato, vedi paesi balcanici e paesi baltici. Germania? Chi si sveglia da un lungo torpore e leggesse i giornali oggi dopo aver dormito per trent’anni si stupirebbe non poco delle prestazioni della Germania, che dopo l’exploit della vittoria nell’europeo del 1993 è sempre stata relegata a un ruolo secondario nel panorama cestistico internazionale. È dal 2010 che però  il basket tedesco si è dato da fare entrando nelle scuole, finanziando le piccole realtà, regalando una cultura cestistica alla gioventù teutonica. I risultati sono sotto gli occhi di tutti; certo serve una generazione di campioni affermati per arrivare lontano in certe competizioni, ma i campioni non sono nati  sotto gli alberi della Foresta Nera dopo una stagione di piogge, i campioni si sono sviluppati con gli investimenti economici e umani a favore dello sport.

Ma se escludiamo l’ultima versione della Germania cestistica e andassimo a rivangare il passato, cosa troviamo nei rapporti fra il basket e il paese tedesco? Nulla di eccezionale per quel che riguarda i risultati sportivi, ma fra il basket e la terra tedesca troviamo una connection piuttosto interessante. È infatti la Germania, e più precisamente Berlino, la prima città al di fuori del territorio statunitense nella quale il basket si mostra al grande pubblico; è il 1936 e il Comitato Internazionale Olimpico apre le porte della kermesse a cinque cerchi allo sport del Professor Naismith. A dirla tutta la prima apparizione olimpica del basket risale al 1904, durante le Olimpiadi di Saint Louis, ma agli albori del XX secolo, con il basket nato da poco più di un decennio, l’intento di portare il basket nel mondo olimpico era più un tentativo di metterlo in vetrina e premiare uno sport giovane ma ancora acerbo. Il risultato della dimostrazione nel Missouri è più che soddisfacente anche perché è da lì che l’allora presidente degli Stati Uniti Theodore Roosvelt decise di inserire il basket nel programma di sviluppo sportivo nazionale. Programma roosveltiano che portò alla creazione dell’ente preposto a sostenere lo sport negli Stati Uniti: il National Collegiate Athletic Association che conosciamo tutti oggi come NCAA. Ma torniamo al vero esordio del Basket come disciplina olimpica. La fine degli anni ’30 non era esattamente un periodo florido per il clima politico mondiale. L’avvento del partito nazionalsocialista che aveva portato Hitler e le sue ideologie “discutibili” al vertice del popolo tedesco creò delle tensioni a livello mondiale che rischiarono di far saltare i giochi olimpici del ’36. La campagna di boicottaggio portata avanti negli Stati Uniti nei confronti delle olimpiadi naziste fu cavalcata da molti politici, ma l’imponente macchina organizzatrice tedesca e la fulgida realtà di benessere architettata nella Berlino del 1936 ammaliò tutti portando in terra di Germania i migliori sportivi dell’epoca, tra i quali Jesse Owens. È nel 1936 che nasce la tradizione del tedoforo e del percorso della fiamma olimpica, è nel 1936 che le Olimpiadi vengono riprese per intero dalle telecamere, dando vita a  Olympia, un film sotto la direzione della regista Leni Riefensthal,nato con scopi propagandistici di cui Hitler si servì successivamente come grande mezzo di comunicazione per le masse. Insomma una manifestazione di transizione fra le Olimpiadi del passato e quelle del futuro nella quale il Basket trovò finalmente il suo posto di primaria importanza. La grande sorpresa a cui si trovarono di fronte i cestisti di tutto il mondo fu la decisione di far disputare le gare olimpiche sui campi da tennis del Tennisstadion e quindi all’aperto. La scelta del comitato olimpico tedesco di far giocare le partite di basket outdoor non venne vista di buon occhio dalle squadre partecipanti, ma così fu deciso e così si fece, ignari di quello che sarebbe successo nella gara decisiva per la medaglia d’oro. Con ventuno squadre partecipanti (Spagna e Ungheria si ritirano prima dell’inizio del torneo) il basket esordì con la prima palla a due alzata proprio dalle mani del suo inventore: James Naismith.

La prima sfida fra Estonia e Francia si concluse con la vittoria degli Estoni sui transalpini per 34 a 29 ma ad  arrivare fino in fondo, come preventivabile, furono gli Stati Uniti e il Canada capaci di liberarsi rispettivamente di Messico e Polonia nelle semifinali. Insomma il Nord America al potere come ci si poteva aspettare. Nel periodo appena precedente l’inizio delle Olimpiadi, per poter creare la selezione di Team USA,  venne organizzato un torneo nel quale la squadra della Universal Pictures guidata da  Jimmy Needles ebbe la meglio portando i suoi ragazzi a competere per l’oro olimpico. Per poter raggiungere il numero completo di componenti però Needles dovette pescare altrove completando la squadra con i ragazzi provenienti dalla squadra McPherson Globe Refiners. Ciò che destò scalpore fu l’assenza al torneo preolimpico della squadra dei Long Island Blackbirds, nella quale militavano i migliori giocatori degli Stati Uniti d’America, formata perlopiù da ragazzi ebraici, che decisero di boicottare l’evento per non essere costretti a partecipare a una manifestazione da disputarsi in uno Stato con una chiara tendenza antisemita. Anche il Team canadese venne assemblato con le stesse modalità di Team USA, ma a differenza di quanto accaduto per gli Stati Uniti a vestire la casacca del Canada c’era anche Irving  “Toots” Meretsky, un ragazzo ebreo che, ottenuto il via libera dai genitori, si trovò di fronte a un dilemma morale che i cestisti ebrei statunitensi non vollero affrontare per rispetto delle loro origini.

È il 14 Agosto del 1936 quando alle ore 18, con un pubblico limitato di 870 persone su 2000 previste a causa di una pioggia battente, viene alzata la palla a due della prima finale olimpica di Basket. Il campo, infangato e putrido come le paludi delle Everglades, rese impossibile il palleggio, per lo più con una palla di pelle grezza cucita a mano che tendeva a diventare man mano più pesante quanto più acqua e fango la inzuppavano a ogni rimbalzo. Eppure la pioggia, persistente da 24 ore prima dell’orario dell’ inizio programmato, avrebbe permesso agli organizzatori di spostare l’evento non appena il meteo avrebbe reso i campi praticabili. Ma i tedeschi non ne vollero sapere e per due tempi di 20 minuti ciascuno, in una partita più simile a una sfida di pallanuoto che di basket, i cugini nordamericani si diedero battaglia sottocanestro dando vita a uno spettacolo ben diverso da quello immaginato dal professor Naismith nel momento in cui ricevette la comunicazione che il basket avrebbe fatto parte della rassegna olimpica. Quella che doveva essere infatti l’occasione per consacrare a livello globale lo sport nato a Springfield fu in realtà una dimostrazione mal riuscita di quello che era in realtà il gioco della pallacanestro. I tedeschi, testardi e volenterosi di seguire alla perfezione date e orari programmati, non gli diedero il giusto merito e fecero concludere il torneo con una “non partita” di basket.  The show must go on e la partita arrivò al termine con i giocatori fisicamente provati,  con uno dei punteggi più bassi fatti mai registrare in una partita di basket. Gli Stati Uniti ebbero la meglio per 19 a 8 e il professor Naismith si occupò personalmente di appendere al collo dei partecipanti le prime medaglie olimpiche della storia del gioco. È questo il primo approccio che la Germania ebbe con il Basket, una Germania che si classificò 17esima con una squadra di basket non degna rappresentarla per bene durante le Olimpiadi di casa.

La storia fra il basket olimpico e la Germania in realtà non si fermerebbe qui. Con un’altra guerra a far da sottofondo, quella fredda fra URSS e Stati Uniti e molti episodi controversi, ci sarebbe da raccontare anche la manifestazione olimpica del 1972 a Monaco, ma quella è un’altra storia che merita di essere raccontata per bene in un’altra occasione. Qui ciò che conta è capire quanto buono sia stato il lavoro fatto nel basket tedesco se, da dove è partita, ad oggi la Germania risulta essere contemporaneamente medaglia d’oro agli ultimi Mondiali, medaglia d’oro agli ultimi Europei e medaglia di legno (risultato tutt’altro che scontato) alle ultime Olimpiadi.

—– Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell’Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l’Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell’amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall’amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: “Ricordi al canestro” legato alla storia del Basket. E da pochi mesi ha pubblicato la sua seconda, dal titolo “La via di fuga” Link per l’acquisto del libro.