LBA - Virtus Bologna, una lezione a un movimento che non vuole cambiare

08.12.2020 11:45 di Umberto De Santis Twitter:    vedi letture
LBA - Virtus Bologna, una lezione a un movimento che non vuole cambiare

Non parlano con Dio e non promettono rivoluzioni ma di certo sanno come creare interesse intorno a uno sport che una pletora di vecchiume sconclusionato pensa a governare puntando solo alla paghetta mensile e a succhiare linfa dagli sponsor senza creare valore aggiunto.

Dietro la querelle fra la dirigenza della Virtus Bologna e l'ex allenatore Djordjevic c'è molto più di quanto una normale dialettica in frantumi possa far pensare.

C'è lo scontro tra il bisogno di autentico rinnovamento della pallacanestro italiana per non andare a morire e le posizioni di rendita di chi ha fatto bello e cattivo tempo fino ad oggi a tutti i livelli.

Se il coach non comprende l'insieme mediatico che il contemporaneo esperimento della Rai di trasmettere la sua gara alle 16:00 invece che alle 20:45 scegliendo Virtus-Dinamo come match clou di giornata, con l'implementazione dall'arrivo a sorpresa, una decina di giorni dopo, di Marco Belinelli deve essere gestito con forme e modi che non appartengono alla storia precedente del basket in Europa, bisogna cambiare. Subito.

Non è stata data la necessaria importanza di quel coordinamento globale che sta cercando di realizzare Ettore Messina a Milano nel doppio ruolo di allenatore e manager. E' solo il secondo esperimento in Italia, dopo quello di Pasquini alla Dinamo Sassari, di modernizzazione del gruppo di comando in un club. Le resistenze sono fortissime.

Lo sa bene Umberto Gandini che, all'atto pratico, dopo essere stato scelto dai "tre saggi" come elemento di rottura degli schemi e dopo aver pagato caro l'apprendistato sta scegliendo i suoi nuovi collaboratori fuori dall'ambiente dei soliti addetti ai lavori baskettari. 

La sfida che attende il nuovo allenatore della Virtus Bologna non sarà quindi solo quella di far convivere Teodosic e Belinelli con Pajola, Markovic e Adams. Non si discute la centralità del suo ruolo come raccordo fra dirigenza e spogliatoio, ma la sua trasformazione. Piccosità e arroccamenti non saranno più ammessi.

Sarà quella di un "globalist coach" attento a tutte quelle esigenze che ruotano intorno ad una azienda che macina e deve macinare milioni di fatturato: il livello di competitività di una società sportiva professionistica si è evoluto.

Perché giustamente Zanetti non è un benefattore caritatevole che regala il pallone per giocare ai bimbi del campetto.