Private equity, immobiliare, rendimenti: le parole d'ordine della NBA varranno anche in Europa

23.11.2025 12:10 di  Umberto De Santis  Twitter:    vedi letture
Private equity, immobiliare, rendimenti: le parole d'ordine della NBA varranno anche in Europa
© foto di nba.com

Quasi il 25% delle franchigie NBA ha cambiato proprietà dal 2020; solo quest’anno Celtics, Lakers e Trail Blazers hanno annunciato vendite per oltre 20 miliardi di dollari complessivi. Dal 2010 ci sono state 23 cessioni con cambio di controllo, contro gli anni ’90 in cui gli accordi erano più rari e molto meno onerosi (Magic a 85 milioni, Timberwolves a 88 milioni). “I prezzi record dimostrano il forte interesse per la proprietà di squadre NBA”, ha dichiarato il portavoce della NBA Mike Bass.

Le motivazioni variano: scandali (come l’uscita di Robert Sarver e la vendita dei Suns nel 2022) o disposizioni testamentarie (la vendita dei Blazers secondo i desideri di Paul Allen). Ma ci sono tratti comuni: secondo Mark Cuban, molti proprietari coetanei (Jeanie Buss, Jody Allen, Wyc Grousbeck) colgono il momento per uscire complice le valutazioni elevate, mentre nuovi acquirenti sono mediamente più giovani. Cuban sottolinea anche la necessità di sviluppi immobiliari e/o capitale da private equity; dal 2021 i fondi possono detenere fino al 20% in massimo cinque team, senza diritti di governance, e complessivamente non oltre il 30% di una singola franchigia. Tra i fondi attivi: Sixth Street (Celtics, Spurs), Dyal HomeCourt (Hawks, Timberwolves), Arctos (Warriors, Kings, Jazz).

Per Mercer Capital, l’apertura al private equity è un “driver chiave” perché offre liquidità ai proprietari storici e può rendere il prodotto più appetibile per TV e streaming, spingendo diritti più ricchi. La nuova intesa media della NBA da 77 miliardi di dollari con ESPN, NBC e Amazon, in vigore quest’anno, aumenta del 220% rispetto al pacchetto del 2016 (24 miliardi). La NBA, più “investor-friendly” di NFL e MLB, unisce capitale privato più accessibile, minori conflitti di lavoro e un accordo media di lungo periodo: gli analisti prevedono che questo sia l’inizio di un trend con altre cessioni imminenti.

Confrontando questi dati raccolti e sistematizzati da frontofficesport.com, possiamo sintetizzare che la crescita di valore della NBA come soggetto di interesse imprenditoriale di questo decennio NON verte assolutamente sul dato sportivo né sulla capacità dei suoi dirigenti di trovare giocatori sempre migliori. Questa sarebbe una analisi corretta se applicata al superamento della crisi di fine anni '70, quando arrivarono Larry Bird e Magic Johnson. O di quella degli anni '80, quando si impose il fenomeno Michael Jordan. E' stata la decisione di Adam Silver di lasciare entrare i fondi di investimento, seppur in maniera rigidamente limitata e regolamentata, nel capitale delle franchigie a cambiare la narrazione. Fondi che come un Dottor Octopus di marveliana memoria tengono nei loro tentacoli partecipazioni nelle televisioni, nelle industrie, nei giornali e nei social media, che girano e rigirano i capitali con l'esclusivo obiettivo del rendimento. Ecco infatti che con l'arrivo di Bill Chisholm e Sixth Street la supposta dinastia dei Celtics è naufragata immediatamente in una metà classifica per difendere l'accondiscendenza degli investitori che cercheranno la cedola a fine anno. 

Questo è il mondo che sta cercando di conquistare il Vecchio continente con il progetto NBA Europe. Saremo i prossimi schiavi del profitto? Possiamo sottrarci? Se cambiate i nomi di squadre e campionati di basketball statunitense con quelli del calcio europeo della FIFA vi accorgerete che le parole d'ordine non cambiano: capitale da private equity, immobiliare, rendimenti garantiti dall'integrazione totale del movimento degli investimenti. Dall'economia dello sfruttamento dei mecenati a quella dello sfruttamento della tifoseria per sostenere i club. Concentramento delle risorse nei mercati più grandi e quindi più ricchi: per questo infatti nazioni piccole come Grecia, Lituania e Serbia non sembrano avere diritto di cittadinanza nonostante storia, blasone, tradizione e grandi squadre. La base del successo NBA, però, è proprio nella tradizione e nella storia, quella di un campionato nato nel 1946, che per anni si è alimentato con i miti dei Celtics anni '60, con la rincorsa dei Lakers a raggiungere a quota 17 i titoli dei rivali, con il mito di Jordan ma anche con quelli più recenti degli Spurs di Popovich e Duncan, degli Heat di Wade e James e oggi con la raccolta dei migliori prospetti europei. Dopo un paio di anni di Gladiators Roma, cosa resterà nella capitale?