Non tutto è perduto! Weekend di coppe e salute del basket di Werther Pedrazzi

Non tutto è perduto! Weekend di coppe e salute del basket di Werther Pedrazzi

“Firenze lo sai

Non è servita a cambiarla

La cosa che ha amato di più

È stata l’aria…

Ma gli occhi di marmo

Del colosso toscano

Guardano troppo lontano…”  (Canzone triste - Ivan Graziani)

Una canzone, ci resta, più bella che triste, di ritorno dalla nostra incursione fiorentina per la Finale di Coppa Italia. Due giorni in apnea per uno slalom speciale tra i paletti stretti di chi (molti) dovevamo evitare per non correre il rischio di contaminazione, e chi (per fortuna ancora abbastanza) volevamo riabbracciare. Con la bella sorpresa di qualche nuova conoscenza, una in particolare davvero speciale, di quelle che piacciono a noi, di quelle da cui hai da imparare. Mentre Esaù, vecchio amico, purtroppo era già scappato sotto il peso di un pronostico sbagliato (ad essere sinceri nemmeno troppo azzardato), peccato, ché molto volentieri lo avremmo rivisto e salutato, forse con disapprovazione, certo, ma anche con la comprensione per chi ha nel destino quello di sedersi sempre alla tavola sbagliata. Peccato.

No. Firenze non è servita a cambiarla, la nostra pallacanestro. O forse, semplicemente, non ancora…

Ancora ne abbiamo visti troppi di tiri da 3 punti, tentati e sbagliati, scorciatoia di un gioco spesso suicida, e ancora troppe sere di difese dimenticate, se non umiliate… Abbiamo visto il basket morire nei 40 punti subiti da una squadra in un solo periodo, ma anche quando gli 90 punti segnati non bastavano a vincere…

Con anche la sera di una domenica bestiale, nella quale se alzavi l’orizzonte oltre il ridotto confine nazionale il confronto poteva risultare impietoso, con l’assegnazione di altrettante Coppe nazionali: quella spagnola (drammatica) tra Real e Barca, e quella turca tra Fener ed Efes (quattro corazzate di Eurolega); ma anche quella tedesca tra Bamberg (Champions League) e Alba Berlino (Eurocup) o quella greca tra Pana (Eurolega) e Paok (Champions). Una sera in cui, se proprio volevi riempirti di italico orgoglio, dovevi sentirti emigrante, insieme a Gigi Datome (Mvp della Coppa turca) e Nicolò Melli, con Andrea Trinchieri (Partizan) vincitore di quella serba, e Luca Banchi che con suo AEK Atene trionfava nella Coppa Intercontinentale (Fiba) a Rio de Janiero contro i padroni di casa del Flamengo… Tutti migranti in fuga dal Paese dei ciechi che non sanno vedere il talento…

E noi? A Firenze! Orgogliosi… Cercando di guardare lontano…

Perché Cremona e Brindisi ci stavano dicendo che non tutto è perduto se salvi l’onore e anche un po’ d’orgoglio… Ammesso che, chi dovrebbe sia in grado di comprenderne la lezione… La lezione di due allenatori, gran signori. Salutando per primo lo sconfitto, Frank Vitucci, commovente nella sua composta amarezza per aver visto infrangersi il sogno di una squadra di bel basket, corale, che lui ha costruito con il talento dei singoli al servizio del gioco. Non certo viceversa (a buon intenditor…).

E poi, Meo…

L’Uomo di marmo che arriva sempre, iniziando sempre la costruzione dal basso. Radici e fondamenta. Meo Sacchetti: quello delle prime volte. Il primo scudetto, la prima Coppa Italia (bissata altre due volte) nella storia di Sassari, ed ora la prima storica Coppa Italia per Cremona… Che per Meo Sacchetti rappresenta la cerimonia di consacrazione definitiva. Con lui la Provincia varca i confini dell’Impero. Lui che da giocatore (argento olimpico a Mosca 80; oro europeo Francia 83; bronzo europeo Germania 85) chiamavano Nureiev, per la leggerezza con la quale, nonostante la mole, danzava sul parquet, e che di quella leggerezza (profonda, però) ha fatto il suo marchio di allenatore.

 Ne abbiamo visti davvero tanti di manganelli e scudi romani… Cercare in troppi di bastonare Meo… Le sue squadre non difendono e l’attacco è solo tiro da 3 punti… Vabbè… La calunnia è un venticello. Abbiamo visto i suoi giocatori buttarsi su ogni pallone… Abbiamo visto lo score della finale contro Brindisi (83-74): tiri da 2 punti 19/42; tiri da 3 punti 13/30!!! Di cosa parlano i detrattori?

Eppure non dovrebbe essere difficile cogliere la differenza tra forzatura e responsabilità, tra chi va all’arrembaggio da solo, negando implicitamente la squadra, e chi si assume la responsabilità della conclusione dopo che tutti nella squadra gli hanno caricato le munizioni… Eppure, basta guardare, è cosi facile capire la differenza tra chi tira dopo che tutti i compagni hanno toccato la palla, e chi la palla se la trastulla per 20 secondi prima di tirare, e tutti gli altri (un po’ scazzati, se si può dire) stanno a guardare…

Libertà e responsabilità, condivise: è questo il basket di Meo. Come gli occhi del colosso toscano che guardano troppo lontano…

E la sua squadra? Ci fa tornare in mente il nome di uno shampoo:  Libera e Bella!!!  

E adesso?

Da Firenze a Varese, senza soluzione di continuità. Da coach della Vanoli a cittì della nazionale. Forza Meo, dopo una vita, venerdì sera (contro l’Ungheria) riportaci ai Mondiali. A coronamento di un febbraio, per te chi ti ama, indimenticabile.

Quel che c’era da fare, è stato fatto. Quel che c’era da vincere è stato vinto.

Werther Pedrazzi