George Mikan e i Lakers, la prima dinastia nella storia della NBA
(di FRANCESCO RIVANO). Etiopia, Giappone e Cina. Starete pensando, quali giocatori di basket provengono da questi paesi che usualmente non sono al centro della scena della pallacanestro mondiale? Se escludessimo l’eccezione che conferma la regola rappresentata da Yao Ming, non ci sono giocatori etiopi, giapponesi o cinesi degni di essere ricordati tra i migliori di sempre nello sport inventato dal professor Naismith. Questi tre paesi sono importanti invece qualora si volesse parlare di storia antica e di dinastie regnanti. In Etiopia, nel 1011 a.c. circa, il Re d’Israele Salomone I e Makeda la Regina di Saba hanno dato alla luce il primo regnante etiope, Menelik I il “Figlio del Saggio”, da cui è partita la dinastia più antica del mondo. Se quella salomonica è la dinastia più antica, quella più longeva è la dinastia imperiale giapponese che discende da Jinmu, primo imperatore Giapponese, e si estende dal 660 a.c. fino ai giorni nostri, al regno di Naruhito salito in carica nel maggio del 2019 come 126esimo imperatore della dinastia Yamato. Sebbene la dinastia etiope venga riconosciuta come la più antica fra le più longeve dinastie della storia del mondo, è la Cina a detenere il record delle prime vere dinastie regnanti: è infatti dal 2100 avanti Cristo con la dinastia Xià che la Cina è governata da famiglie capaci di tramandare di padre in figlio il governo del paese. Insomma per dinastia si intende l’avvicendarsi di sovrani della medesima stirpe al comando di un paese. Questo termine spesso è stato utilizzato anche nello sport per individuare quelle squadre capaci di dominare la scena agonistica per un periodo di tempo piuttosto lungo. Qualche esempio? Ovviamente nel Basket NBA l’esempio più calzante è quello dei Boston Celtics di Red Auerbach e Bill Russell capaci di stare sulla cresta dell’onda per più di un decennio, ma se volgiamo lo sguardo ancora un po’ più indietro nel tempo scopriamo che la prima vera dinastia del basket a stelle e strisce è ben lontana dal Massachusetts. Quanto lontano? 6.600 Kilometri circa.
Se vi dico Croazia, qual è il primo nome che vi viene in mente parlando di Basket? A me personalmente quello di Drazen Petrovic ma capirei chi a questa domanda rispondesse Tony Kukoc. Entrambi figli della patria bianco-rosso scudata, Drazen e Tony sono stati capaci di esaltare le folle nei palazzetti europei e della NBA dimostrando quanto la scuola dei Balcani sia stata in grado di forgiare campioni di livello assoluto. Ma io voglio partire dalla Croazia e più precisamente da Vivodina, da molto prima dell’avvento di Drazen e Tony. Nel 1847 il Signor Jurai, Giorgio dalle nostre parti, George al di là dell’Atlantico, lasciò la terra natia in cerca di fortuna nelle fonderie della Pennsylvania. Una volta arrivato negli Stati Uniti Juray conobbe e si innamorò di Marija, anch’essa Croata, e dall’unione dei due nacque Joseph. La vita da operaio nelle fonderie statunitensi non era vita, era quello che di più vicino poteva esserci all’inferno e Joseph decise di non proseguire sulla strada del padre, di abbandonare la cittadina di Braddock, Pennsylvania e trasferirsi nell’Illinois, a Joliet dove con la moglie Minnie, di origine lituana, aprì una taverna, la Mikan’s Tavern. Già la miscela fra sangue croato e sangue lituano fa ben sperare agli albori di una racconto che parla di basket, ma torniamo alla taverna di Joseph e Minnie. Il lavoro non mancava di certo ai due novelli sposini, il calore della cucina non era minimamente paragonabile a quello delle fonderie, ma si faceva sentire; nonostante ciò i due guadagnavano bene e decisero di mettere su famiglia, tanto che il 18 Giugno del 1924 nacque George. Perché George? Perché Jurai, in onore del nonno, era poco americaneggiante. George cresceva molto rapidamente, ma tanto più cresceva in altezza tanto meno si interessava agli sport e alle competizioni. George attratto dallo studio e dal mondo ecclesiastico coltivava il sogno di diventare prete cattolico e proprio nell’Illinois, a Chicago, venne iscritto al seminario dell’arcivescovo Quigley. La vocazione però non arrivò a folgorarlo come fece con Paolo sulla via di Damasco e George tornò a Joliet per frequentare la Joliet Catholic High School. Se avessimo fatto scommettere tutti gli addetti ai lavori sportivi dell’epoca nessuno avrebbe messo un soldo sullo sviluppo di una carriera agonistica di George, nemmeno a livello amatoriale e infatti finita la High School e pronto per frequentare la DePaul University, nonostante fosse alto più di due metri e pesasse oltre i 100 chili, non era praticamente in grado di stare su un qualsiasi scenario di natura agonistica sportiva. A rafforzare questa tesi c’era anche una leggera ma evidente zoppia dovuta a un grave problema al ginocchio che George aveva avuto da bambino. Goffo! Quello era l’aggettivo più comunemente usato per descrivere George; timido il secondo e nessuno posava gli occhi su di lui nonostante la sua mole suggerisse di sfruttarlo sotto a un canestro. Nessuno tranne uno: Ray Meyer. Lo storico allenatore della De Paul University fu capace di vedere in George quello che nessuno era in grado di vedere. Coach Meyer prese George sotto la sua ala protettrice e lo forgiò come un diamante grezzo fino a farlo splendere e fargli acquisire valore. Detta così sembrerebbe sia stata una passeggiata: in realtà il processo di trasformazione da “George il goffo” a "Mr. Basketball” passò attraverso il duro lavoro, i sacrifici, il dolore e la frustrazione. Gli allenamenti imposti dal coach erano snervanti, massacranti, al limite della sopportazione umana e fu il mix fra la capacità di resistere del ragazzo e la severità imposta dal coach a plasmare un prototipo di giocatore come non se n’erano mai visti fino a quel momento. La goffaggine si tramutò in eleganza, la timidezza si trasformò in cattiveria agonistica e la De Paul Universiy si trovò tra le mani, in men che non si dica, il primo vero centro dominante della storia del gioco. Ray Meyer dopo un attenta analisi delle caratteristiche di George, creò una macchina perfetta per giocare spalle a canestro, perfezionando il tiro in gancio che nessuno degli avversari avrebbe potuto difendere se fatto partire dai picchi di altezza raggiunti da George con le braccia protese. Immaginate cosa poteva essere un corpo di quelle dimensioni in un campo da pallacanestro alla fine degli anni’40. La fluidità dei movimenti e la perfezione acquisita nel tiro in gancio in attacco e la capacità di “marcare il canestro” in difesa rendevano le squadre di George impossibili da battere. Marcare il canestro? Eh si, George si piazzava sotto il canestro e rispediva al mittente ogni tiro degli avversari, tanto da spingere la NCAA prima e la NBA dopo a regolamentare il goaltending (interferenza). Nessuno poteva difendere su George Mikan e questo non sfuggì al mondo del basket professionistico; infatti dopo un solo anno ai Chicago Gears militanti nella NBL furono i Minneapolis Lakers ad assicurarsi le performance del nativo di Joliet, Illinois.
Minneapolis Lakers, si avete letto bene, perché per chi si fosse perso qualcosa gli attuali giallo-viola losangelini affondano le loro radici nella terra dei 10.000 laghi. O pensate che il termine “lacustri” derivi da una caratteristica geografica della California? Il primo anno nel Minnesota è devastante. George diventa il primo giocatore nella storia della NBL a sfondare il muro dei 1.000 punti realizzati, vince il titolo e viene nominato MVP del World Professional Basketball Tournament segnando 40 punti in faccia ai New York Renaissance, squadra molto talentuosa composta da soli giocatori di colore. L’anno seguente è quello dello sbarco dei Lakers nella BAA, progenitrice dell’attuale NBA e la musica non cambia. Miglior marcatore e titolo ai Lakers. Per farvi comprendere il valore che George Mikan aveva all’interno del panorama cestistico statunitense dell’epoca basta andare a leggere quelle che erano le locandine affisse al di fuori dei palazzetti. Nel 1951, in vista della partita dei Lakers a New York contro i Knicks la locandina recitava la seguente frase: “Today, New York Knickerbockers vs George Mikan”. Se si fa eccezione per la stagione 1950/1951, anno in cui George si fratturò una gamba e non fu in grado di incidere sulle partite arrendendosi in finale della Western Division ai Rochester Royals, i Lakers vinsero il titolo per 5 volte in sei anni dal 1949 al 1954.
Fu proprio la stagione conclusasi nel 1954 con la vittoria dei Lakers l’ultima di George Mikan, costretto ad abbandonare per una serie inesorabile di infortuni e per la volontà di vedere crescere i figli senza lo stress dei viaggi in giro per i palazzetti di tutta l’America. A fine carriera George Mikan aveva inciso in maniera imbarazzante sui numeri, sulle statistiche ma anche sul regolamento del gioco. Leader nelle classifiche dei migliori marcatori, leader nella classifica dei migliori rimbalzisti da quando, nel 1951 il rimbalzo venne annoverato fra le statistiche ufficiali del gioco, leader nel numero di titoli vinti, leader nelle nomination nella prima squadra All-NBA, George, oltre a tutto ciò costrinse le leghe in cui militò ad apporre delle modifiche regolamentari per limitarne il dominio; venne bandita l’interferenza difensiva a canestro, la NBA sentì la necessità di allargare l’area sotto canestro e di inserire il cronometro per le azioni offensive: il tutto per non far asfaltare gli avversari dallo strapotere di George Mikan.
Al di fuori del terreno di gioco le avventure di George nel post carriera non furono immediatamente produttive; quando nel 1957 venne chiamato a guidare i Lakers dalla panchina, con un record di nove vittorie e trenta sconfitte lasciò il posto da head coach dedicandosi all’imprenditoria immobiliare. L’amore per il basket risbocciò come primo Commissioner della ABA, dando vita al tiro da tre punti per la prima volta nella storia del gioco e partecipando successivamente in maniera attiva a riportare il basket professionistico in quella Minnesota abbandonata dai Lakers per la California, dando i natali ai Timberwolves che oggi tutti conosciamo. George morì nel 2005 dopo aver lottato con il diabete e una forte insufficienza renale che lo portarono anche all’amputazione di una gamba
Ecco, George Mikan fu il primo sovrano incontrastato della NBA e la dinastia dei Lakers con a capo il gigante proveniente da Joliet, Illinois con il sangue mezzo croato e mezzo lituano, fu la prima e più antica fra quelle che si ricordano nel basket moderno. È stato proprio l’avvento e l’impatto di George Mikan a far comprendere al mondo cestistico quanto fosse importante la presenza di un centro dominante in una squadra vincente, aprendo così le porte all’avvento dei suoi successori, partendo da Bob Pettit, passando per Bill Russell e Wilt Chamberlain, attraversando le ere di Bill Walton e Kareem, fino ad arrivare Olajuwon, Shaq, Duncan e ai grandi centri di oggi. E se vi capita di passare per caso in una palestra qualsiasi e vedete un ragazzo sotto canestro che appoggia la palla al tabellone con la mano destra, la raccoglie dal fondo della retina, fa due passi e fa lo stesso movimento con la sinistra e ripete il movimento in loop alternando le due mani, beh fermatevi a guardarlo per bene perché quel ragazzo sta imparando il mestiere del centro mettendo in pratica uno degli esercizi più utili e più efficaci per quel ruolo: il Mikan Drill, con il copyright di Mr Basketball, George Mikan.
----- Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. Nel 2024 ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro.