Non ci sono miracoli nei successi delle Nazionali azzurre, tantomeno nel femminile

Non deve essere bello né simpatico per una ragazza dell'Italia Under 20 (o della Nazionale senior) leggere le dichiarazioni rese dal suo presidente federale Petrucci all'Ansa, dopo aver giocato a pallacanestro per dieci e più anni, aver sacrificato le vacanze estive per la Nazionale, aver lottato per rendere percorribile un cammino tra sport, scuola e famiglia che ha i suoi non indifferenti problemi specialmente se declinato al femminile. Leggere che la conquista di un bronzo agli Europei di categoria di questa estate è "un miracolo" insultando le troppe giornate in palestra per crescere e meritarsi una convocazione non è piacevole per nessuno a prescindere. Leggere che "è stato fatto un grande lavoro da Trainotti e Datome" (il secondo è in carica da appena un anno come coordinatore) di cui non si conoscono i grandi risultati, visto che dopo aver sbandierato ai quattro venti lo slogan elettorale "il basket è in salute" per anni, nell'ultimo Consiglio federale ha deciso di stanziare tre milioni di euro "per la promozione e lo sviluppo del movimento cestistico femminile in Italia". Senza esagerare: un milione all'anno per tre anni, senza spiegare - come d'uso - come utilizzarli, segno della perenne gestione elettoralistica della comunicazione. D'altra parte è stato votato, tutti sapevano che ci sarebbe toccato continuare per altri quattro anni a sprofondare nel declino della pallacanestro in Italia. La base delle praticanti si restringe, le società diminuiscono, basta vedere le iscrizioni ai campionati di LBF, e di quelle che rimangono molte restringono il perimetro dell'attività rinunciando alle categorie più costose. E se i problemi del basket rosa sono già oltre il livello dell'allarme, anche nel maschile non si scherza. Se sta venendo alla luce una generazione vincente è merito di un lavoro individuale e di società che investono senza guadagno e senza che la Federazione lavori per tutelarle dalle "rapine" che glieli portano via. Ma per una volta fermiamoci qui, fermiamoci al "miracolo".