LBA - Charlie Recalcati racconta un pezzo di storia con Marco Belinelli

LBA - Charlie Recalcati racconta un pezzo di storia con Marco Belinelli

Ha visto da vicino in tanti anni Marco Belinelli, e adesso racconta spezzoni di vita a La Repubblica. Charlie Recalcati, ex giocatore e allenatore della Nazionale azzurra, rievoca cominciando da Sapporo 2006.

Beli e l'Italia. Beli che sorprende tutti, ovvio. Me compreso, anche se quell’Italia l’avevo in testa proprio così. 

Il risultato non mi premeva, volevo provare gente nuova, perché avevo visto il capolinea, agli Europei 2005, del gruppo che aveva vinto l’argento ad Atene 2004. A casa Galanda e Bulleri, buttai dentro Belinelli, avrei voluto Bargnani, se non si fosse infortunato. Vedevo un movimento che stentava, il declino dietro l’angolo. Lanciavo allarmi, pochi ascoltavano.

Beli e l'America. Lui va nel 2007, la squadra è Golden State, mi organizzo un tour di là, per vedere Hackett, che è al college in California, e anche Bargnani, che con Toronto va a giocare contro i Warriors. Vado al palazzo, Marco però finisce in tribuna. Gli parlo alla fine.

Sereno, contento di esser lì, pronto a tutto per imporsi, anche se servirà tempo. Così è andata. Nulla di facile, ma una carriera più che notevole, da giocatore affermato e rispettato. Quella sera capii che era là che voleva stare.

Gli piaceva, avrebbe mandato giù. Oggi ci si chiede se ha fatto quel che doveva fare, di più o di meno. Ha fatto quello, e non è stato poco. Poi, pure in Europa poteva essere un big, da Real Madrid o Cska Mosca.

Beli e la Virtus. Esperienza. Voglia di vincere, ma di quella ce n’è già tanta. Leadership, idem: vedi i serbi e vedi pure Pajola. 

Rilanciamo il basket italiano. Perché c’è bisogno di proporci, di far parlare di noi. Però poi resta fine a sè stessa e non cambia lo stato delle cose. Che oggi è triste, al di là del Covid, perché anche stavolta abbiamo guardato alle negatività, non alle opportunità.

Il movimento stentava da prima, serviva riformare, sperimentare. Niente, e non è bello ripetere “l’avevo detto”, perché pigliarci sconforta. Ci basta giocare, anche trascinandoci, senza costruire nulla.

Questo era lo sport che per primo importò i playoff. Poi? Null’altro. A me piacevano le conference. Fossimo partiti anni fa, oggi sarebbero la formula giusta.