Com’è andata questa stagione regolare di Serie A?
Più che una stagione regolare di Serie A è stata una stagione irregolare.
La stagione dei ricorsi, delle penalizzazioni, delle partite perse a tavolino per squalifiche, delle collette tra i tifosi e dell’esclusione dal campionato ma non dalla federazione.
Le prime otto squadre della griglia playoff sono quelle che hanno giocato meglio e ottenuto più vittorie, ma hanno anche approfittato del calendario contro squadre in difficoltà non solo tecniche ma anche dirigenziali.
Avellino, Cantù, Trieste e Torino sono invece le città che hanno fatto parlare continuamente di faccende extra campo in questa annata, un campionato che di professionista ha solo i giocatori e lo staff che andava alla battaglia con pregressi, ma che amava incondizionatamente quello che faceva.
Però codesta situazione non appartiene solo a quelle sfortunate realtà ma a tutto il movimento e un business sempre più simile ad un trita carte.
Un massimo torneo dove non ci sono ricavi e dove non ci sono diamanti grezzi da valorizzare ottenendo ricchezze, vecchio perché i giovanissimi seguono un modello più innovativo e pubblicizzato, nonostante calcano e ne fanno parte ogni giorno con orgoglio.
Bisogna il prima possibile fare un passo indietro e ragionare su i problemi del basket italiano, laddove come può una grande città come Torino non trovare un socio/proprietario ma si deve affidare ad un personaggio già famoso a tutti per i suoi inganni pubblicitari e non.
Oppure come può una squadra incontrare un avversario completamente diverso rispetto ad una sua rivale?
Una Serie A con idee d’espansione, ma che piuttosto deve massificare per tener in vita una competitività e soprattutto una sua serietà.
Un campionato dove chi mantiene la categoria è stato fortunato a trovarsi nel momento giusto se no era sportivamente già condannato.
Bisogna quindi capire e aver la consapevolezza d’aver toccato il punto più basso in questa stagione, per migliorare ma soprattutto rendere il massimo campionato di pallacanestro un commercio d’impresa piuttosto che un falò patrimoniale.