Simone Pianigiani: «Lavorare all'Olimpia è stato un orgoglio. Siena? Che avventura»

Simone Pianigiani: «Lavorare all'Olimpia è stato un orgoglio. Siena? Che avventura»
© foto di Degaspari/Ciamillo

Simone Pianigiani è tornato a parlare del suo passato e in particolare dell'esperienza alla guida dell'Olimpia Milano, che ha allenato dal 2017 al 2019. «Arrivai in un'epoca di cambiamenti con voglia di tornare protagonisti in Europa, un progetto in rampa di lancio, ma proprio quando Proli lasciò la presidenza nel finale del mio biennio. La prima annata fu complessa, la società aveva la lungimiranza di non dover vincere per forza, il budget comprensibilmente limitato da tanti contratti transati, ma invece vincemmo lo scudetto. Il 2° anno partimmo fortissimo in Eurolega, in A imbattuti fino a Natale, poi i problemi fisici ci spezzarono, prima Gudaitis, poi Nedovic e James che giocarono le semifinali infortunati. Lavorare qui è stato un orgoglio, era l'alba di quello che ora ha reso di nuovo l'Olimpia europea. Un ricordo di Armani? Un gentlemen che viveva lo sport sopra l'umoralità del risultato. Ci teneva, ma in modo garbato. Ha dimostrato visione a lungo termine, qualcosa oltre ad un pallone che entra o esce dal canestro in un'azione», ha detto a QS.

Al Corriere Fiorentino ricorda invece gli anni a Siena, dove prese il posto di Recalcati. «Come nacque la storia? A pranzo, al Piazzale Michelangelo. Eravamo io, Recalcati e Ferdinando Minucci, il mio direttore. Charlie disse "accetto di allenare Siena, ma il mio erede dovrai essere tu". Dietro c'era la regia di Ferdinando perché la società mi preparò in tutto, alla fine di quel percorso fu naturale sedersi in panchina da capo allenatore. Se sento ancora Minucci? Ogni tanto, a lui sarò sempre riconoscente. A prescindere da come è finita la storia del Montepaschi». Oggi Siena è in Serie B, ma «la passione c'è, all'ultimo derby Costone-Mens Sana c'erano 3 mila tifosi. Ma il romanticismo non basta, servono soldi e impianti. Il basket ormai è un mondo costoso». E sul vincere a Siena, a casa, dice: «Straordinario, perchè ho vissuto tutte le epoche, comprese quelle delle salvezze. L'ultima volta in cui una piccola città di 50.000 abitanti batteva corazzate europee. Che avventura».