Carlo Finetti, un coach italiano in Germania: "Udine capitolo fondamentale della mia vita"
Carlo Finetti è stato ospite dell’ultima puntata di Alley Oop, trasmissione condotta da Eugenio Petrillo, Alessandro di Bari e Marco Lorenzo Damiani ogni martedì dalle 17 alle 18. Il tecnico ha parlato del suo approdo in Germania, della sua carriera nei settori giovanili, degli allenatori finlandesi in ascesa, della sua esperienza a Udine, del rapporto con Matteo Boniciolli. Un estratto.
L'esperienza in Germania.
“Tutto è partito dal fatto che avevo conosciuto coach Danny Jansson, grazie ad Alessandro Nocera, allenava le giovanili di Ulm, circa dieci anni fa. Poi c’è stato un contatto con lui prima della firma con Udine, aveva appena ricevuto un’offerta da Tübingen per allenare in A2 tedesca, ma le cose andarono per le lunghe e poi arrivò l’offerta da Udine, con il colloquio con Matteo Boniciolli che è durato 45 secondi. A distanza di un paio d’anni, durante i playoff con Udine, mi ha ricontattato: Tübingen aveva appena vinto il campionato ed era stata promossa in BBL. Ho fatto un anno lì, poi Danny è stato chiamato a Heidelberg e la società gli ha dato la possibilità di portare un assistente: ha scelto me. È stato naturale seguirlo”.
Su Jansson che è un allenatore di riferimento per la scuola finlandese, assieme a Iisalo e Tuovi.
“La metodologia è diversa rispetto a quella italiana, con un approccio più moderno e completo. Ho avuto la fortuna di vedere da vicino anche il lavoro della federazione finlandese: la loro idea è colmare il gap con scuole come quella spagnola, serba e italiana. Sono molto concentrati sul concetto di giocatore come progetto: l’atleta non è solo parte della squadra, ma un investimento tecnico e umano. Hanno strutture di altissimo livello, una federazione collegata strettamente a quella tedesca e un senso di appartenenza fortissimo. Basta pensare al lavoro fatto per costruire la cultura della nazionale e a esempi come Markkanen o Muurinen”.
Sull’approccio al calendario tra campionato e Champions League.
“La prima parola è efficienza. Quando giochi ogni due o tre giorni devi essere estremamente selettivo: scegliere cosa è davvero importante comunicare al capo allenatore e poi alla squadra. A livello tattico devi scegliere quattro o cinque situazioni dell’avversaria, non venti. Meglio essere chiari ed energici che dire tutto e rallentare la testa dei giocatori. Poi abbiamo strumenti per monitorare carichi e condizione dei giocatori, che ci dicono quanta energia c’è, quando spingere e quando preservare. È fondamentale per prevenire infortuni, soprattutto quando la stanchezza abbassa l’attenzione”.
L’esperienza a Udine.
“È stato un capitolo fondamentale della mia vita professionale e personale. Lavorare con Matteo è stato un privilegio. Mi ha dato fiducia, fatto sentire a mio agio e messo nelle condizioni di crescere. Il passaggio a capo allenatore è stata poi una scuola intensiva. Hai a che fare con gestione dello staff, degli ego, delle pressioni, con giocatori dal curriculum enorme. Capisci cosa significa prendere decisioni sapendo che se sbagli, sbagli tu. Questo lavoro è così: chi fa, sbaglia. Poi con Matteo non è finita come avrei voluto. La situazione di allora non ha permesso che il rapporto rimanesse quello di prima e me ne dispiace molto, perché lui ha rappresentato tanto per me. Ma la vita ti mette davanti a momenti in cui devi scegliere la strada meno peggio. Ho fiducia che un giorno avremo modo di sederci davanti a un caffè e parlarne”.