Neven Spahija: “Venezia sta costruendo se stessa. Non guardiamo al passato, solo al futuro”
Il momento della Reyer Venezia, al di là dei risultati, è prima di tutto una questione di sensazioni. E secondo Neven Spahija, oggi, quelle sensazioni sono buone. “Stiamo bene – spiega – siamo una squadra con giocatori nuovi, ma con una chimica già solida. È un gruppo che ha voglia di lavorare e di stare insieme”. Non tutto è stato lineare, anzi: “Abbiamo avuto anche sconfitte pesanti, ma fa parte del processo, soprattutto in una stagione con tante partite ravvicinate”. Spahija non cerca alibi e non fa drammi: “In Europa oggi non esiste quasi più differenza tra Eurolega, EuroCup e campionato. Tutti possono perdere contro chiunque. La formula è sempre la stessa: si va avanti, si recupera e si pensa alla prossima”. E aggiunge un concetto che per lui è centrale: “Questa squadra ha dimostrato di non guardare al passato. Conta solo il futuro”.
Il tempo come fattore decisivo: i veri miglioramenti, secondo il coach croato, non nascono da una singola scelta tecnica, ma dal tempo passato insieme. “Una squadra nuova non è un accessorio che compri e usi subito. È un organismo che respira in modo diverso ogni giorno. Servono allenamenti, conoscenza delle posizioni, dei quintetti, dei cambi”. E qui Spahija cita una frase che sente molto sua: “Il lavoro paga, sempre”.
L’identità: difesa per attaccare: Venezia, negli anni, ha sempre mostrato una discreta solidità difensiva. Ma l’identità voluta da Spahija va oltre l’equilibrio: “Noi vogliamo correre, giocare in campo aperto, evitare il più possibile il cinque contro cinque statico. Vogliamo trovare tiri aperti quando la difesa non è preparata”. Per farlo, però, serve una condizione: “Per giocare così devi difendere. Non puoi correre dopo ogni canestro subito. Il nostro obiettivo è tenere gli avversari sotto gli 80 punti. Se ci riusciamo, per noi è quasi sempre una buona partita”.
Il singolo dentro il gruppo: quando si parla di individualità, Spahija resta coerente con il suo stile: non ama soffermarsi sui nomi. “Non parlo mai di singoli, ma posso dire che tutti stanno giocando più o meno al livello che ci aspettavamo”. L’unica eccezione riguarda Nikolic: “È una firma importante, un giocatore arrivato con passaporto italiano che ci sta dando tanto. Forse qualcuno non se lo aspettava, ma per noi è molto prezioso”.
La pressione di Venezia: Venezia è una piazza ambiziosa, con una tifoseria esigente. Ma Spahija chiarisce subito: “Nessuna pressione esterna è mai stata più grande di quella che metto io a me stesso”. Parla del proprietario come di “una persona straordinaria, umana, che vuole fare bene”, e sottolinea come, in generale, ambiente, media e pubblico siano parte normale del lavoro. “La responsabilità è grande, ma ci conviviamo bene”.
Scudetto, favorite e una Serie A competitiva: lo sguardo poi si sposta sul campionato: “Vogliamo essere protagonisti, lottare fino alla fine come l’anno scorso”. Ma il coach è realista: “Milano e Bologna sono un gradino sopra per budget. Poi però c’è un gruppo di squadre molto forti: Trento, Trapani, Tortona. Se non sei al 100%, puoi perdere contro chiunque. La Serie A oggi è una lega molto competitiva”.
Allenare in Italia oggi: Dopo una carriera tra Europa e NBA, Spahija riconosce la crescita del basket italiano: “C’è stato un periodo in cui la Lega era più avanti di oggi, poi è calata. Adesso sta tornando forte. Ogni anno cresce: organizzazioni, budget, allenatori giovani, struttura”. Il paragone con l’NBA resta netto: «È un altro sport. Regole diverse, 48 minuti, moltissime partite, organizzazione, comunicazione, business. In America è tutto un business enorme. In Europa no: qui i proprietari mettono soldi perché amano la pallacanestro. E per questo vanno ringraziati”.
L’ombra dell’NBA Europe: Sull’ipotesi di una futura NBA in Europa, Spahija non si sbilancia: «Non posso dire se sono preoccupato, perché non so cosa succederà. Sono curioso. Ma quando Adam Silver parla, le sue parole sono importanti. Vedremo”.
La sua idea di pallacanestro: alla fine, il coach prova a racchiudere la sua filosofia: “Si lavora tanto, con pressione, ma con felicità. La pallacanestro deve restare una gioia. Per chi la gioca, per chi la allena, per chi la vive”.
È questa, in fondo, la sintesi più fedele del suo modo di stare in panchina: rigore, lavoro, entusiasmo. Con lo sguardo sempre avanti. Mai indietro.