NBA - Lettera a "Hondo": il più vincente, dimenticato nel dibattito per il GOAT

NBA - Lettera a "Hondo": il più vincente, dimenticato nel dibattito per il GOAT
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(di FRANCESCO RIVANO). Se c’è un passatempo a me gradito quello è la lettura; e tra le varie letture quelle che preferisco sono quelle legate al passato, volte ad aprire nella mia mente mondi sconosciuti, personaggi la cui memoria è offuscata dal tempo, gesta immemori degne di essere ricordate ancora, ancora e ancora. E spesso mi ritrovo a pensare ai protagonisti come se fossero lì con me. Potenza della lettura, capace di avvolgerti in un mondo dove tutto è possibile, anche di immaginare di poter parlare con chi non c’è più, o magari di scrivergli una lettera. Ecco quindi quello che ho fatto, ho scritto una lettera, per ricordare un campione spesso dimenticato, le cui prodezze hanno bisogno di essere rispolverate per permettere ai giovani di sapere chi fosse e quanto avesse dato a questo meraviglioso sport.

“Meglio di Mike nel record delle Finals; meglio di Bill nel numero di partite disputate in maglia Celtics; meglio di Larry nel numero di punti realizzati con la casacca della franchigia del Massachusetts. Eppure, se da lassù, avessi voglia di tornare, anche solo per un istante, per chiedere ai passanti la classifica dei migliori dieci giocatori di sempre, resteresti sorpreso nel non veder riconosciuto in pieno tutto il tuo merito. E magari, una volta tornato nella tua nuova dimora, passando un po’ di tempo della lunga eternità che ti attende a far qualche tiro a canestro con Wilt, rischieresti anche qualche risolino amichevole di scherno. Lo so, lo so, c’è Red sempre pronto a difenderti. Red è così, pronto a tutto per difendere uno dei suoi: “Ricordaglielo John, non fare il modesto… Ehi Wilt ti sei già dimenticato le urla di Johnny Most nel ’65? “Havlicek stole the Ball….Havlicek stole the ball”. Il coach ti inviterebbe a mostrare al lungagnone smilzo di Philadelphia le dita ornate di argenteria, finché The Stilt, innervosito dalle innumerevoli sconfitte patite per mano dei verdi, devierebbe la discussione chiedendoti  “Si vero, belli gli anelli, però vogliamo parlare di donne?” mettendo un punto esclamativo al dibattito con una schiacciata perentoria davanti al tuo sorriso sagace e pudico. Però una cosa me la devi spiegare, anzi la devi spiegare a tutti: che ti passava per la mente quando accettasti l’offerta dei Cleveland Brown nella NFL? Perché hai rinnegato, seppur per poco tempo il tuo grande amore? il basket! Saranno state le finali perse con Ohio State nel NCAA? Eppure un titolo, nel sessanta, lo avevi vinto. Forse perché non volevi lasciare il tuo amato Ohio? Ti immagini che grande danno avresti provocato a tutti noi? È vero, avresti regalato tante emozioni agli amanti della palla ovale, ma non hai pensato a noi, al popolo dl basket, a coloro che per anni ti hanno osannato per i titoli vinti o odiato per le sconfitte che gli hai inflitto? Hai vinto la bellezza di otto titoli, non hai conosciuto la sconfitta in una serie finale, hai giocato con la squadra più forte di sempre, a fianco al giocatore più impattante di sempre, per il coach più acuto di sempre. Sei stato il primo “sesto uomo” realmente incisivo del gioco, alzandoti da quella panchina e spaccando in due le partite con un mix di abilità tecniche e prepotenza fisica: ma quanto fiato avevi? Quanta resistenza! Ti sei guadagnato il posto da titolare e non poteva essere altrimenti, fino a diventare il Leader della squadra lasciata orfana da Bill, mantenendo ai vertici una squadra che sembrava logora e che invece tu hai saputo guidare con maestria in una Lega piena zeppa di grandi campioni e super uomini: insomma un eroe alla John Wayne in lotta contro i temibilissimi Apache.

Ah ecco perché “Hondo”!! Quel tuo numero 17 si staglia alto fra le innumerevoli maglie ritirate al Boston Garden, tu che del Boston Garden, quello vero, quello originale, sei stato un vero e proprio custode del successo. Tutti riconoscono come “tuo e solo tuo” il titolo del ’74, quello vinto da MVP quello vinto contro i Bucks di due mostri sacri del gioco, Kareem e Oscar, ma vogliamo parlare della gara 5 del ’76 contro i Suns? Sei stato tra i protagonisti della partita più bella e avvincente che si ricordi e lo sei stato in un sali scendi di emozioni fra profondissimi bassi e torreggianti alti. Il tiro libero sbagliato che avrebbe chiuso la contesa nei regolamentari, l’errore al tiro nell’ultimo possesso del primo overtime, la distrazione che ha permesso a Curtis Perry di ribaltare il punteggio nel secondo prolungamento a pochi secondi dalla fine. È in quei momenti che hai dimostrato la tua reale grandezza: non quando tutto va per il verso giusto, ma quando la salita si fa più ripida e pedalare diventa quasi impossibile. Quel canestro, veleggiando in area e baciando i tabellone è storia. Certo, avresti potuto evitare di lasciare un secondo sul cronometro, risparmiando a tutti un altro incredibile overtime, risparmiando all’arbitro Powers un aggressione gratuita, evitando ai migliaia di tifosi scesi in campo a festeggiarti di tornare sugli spalti (beh spalti, diciamo a bordo campo) per assistere ad una altro miracolo dei Suns reso vano da Jo Jo White nel terzo e decisivo supplementare, ma non ti si poteva chiedere la perfezione assoluta.

Il Garden quella sera ha vissuto una sera indimenticabile, come fosse un essere vivente ha sudato freddo per la paura della sconfitta e ha ruggito esultante nella gioia della vittoria. È stato quello il tuo ultimo acuto, prima di lasciare le redini nelle mani di un ragazzino biondo dell’Indiana. Hai fatto battere all’impazzata migliaia di cuori bianco verdi, hai vissuto sull’eccellenza per sedici lunghe stagioni, sei diventato, e sarai ancora per tanto tempo, il leader nei marcatori di Boston e hai fatto tremare forte le mura dell’Arena più decorata degli Stati Uniti d’America. Ma purtroppo quel tremore ti è stato lasciato in eredità dal Graden, un tremore irritante provocato da una malattia vigliacca che pian piano ha spento l’ardore della tua fiamma fino a farla spegnere. Il tuo sangue mitteleuropeo non ha tradito le aspettative, ti ha donato un livello intellettuale e spirituale, oltreché fisico, tale da farti stare ai vertici senza mai soffrire di vertigini; sei stato un campione umile, un compagno di squadra fedele, un leader vero e mai un prevaricatore. È per questo che la morte fisica non avrà mai la meglio nei confronti della vita dello spirito. Tu vivrai sempre nel cuore dei tifosi del gioco e francamente chi se ne frega se i passanti, non riconoscendoti, non ti metteranno nella loro top ten, a te basta essere John, con i tuoi titoli e i tuoi record, con la sicurezza di chi non ha bisogno di vedersi riconosciuto in qualsivoglia classifica o graduatoria”.
In memoria di un eroe del passato, John Havlicek.

----- Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. E da pochi mesi ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro.