Alessandro Pajola, l’anima della Virtus Bologna

25.10.2025 15:18 di  Davide Trebbi  Twitter:    vedi letture
Alessandro Pajola, l’anima della Virtus Bologna
© foto di Ciamillo

Ci sono giocatori che segnano con le statistiche, e poi ci sono quelli che lasciano il segno con la presenza. Alessandro Pajola appartiene a questa seconda, preziosa categoria. Non servono i numeri per capire quanto conti per la Virtus Bologna: basta guardarlo in campo. Lo riconosci subito, con quella grinta che non conosce pause, con lo sguardo fisso sul pallone come un predatore che non perde mai la preda.
Quest’anno è diverso. Non solo per lui, ma per tutto il mondo bianconero. Dopo l’addio di Marco Belinelli, la fascia di capitano è passata sul suo braccio: un gesto naturale, quasi inevitabile. Perché Pajola è la Virtus. Dieci anni di appartenenza, record su record in presenze, assist e palloni recuperati. È cresciuto dentro le mura della Porelli e Bologna, e oggi ne è diventato il simbolo più autentico.

E pensare che il tiro, da sempre, era la sua croce. Fin da quel primo esordio a Imola (contro Andrea Costa in serie A2), il suo nome era legato a difesa, intensità, letture, ma non certo a triple vincenti. Eppure, qualcosa è cambiato. Nelle prime sei partite di Eurolega, Pajola ha piazzato bombe pesanti, quelle che fanno rumore, che cambiano l’inerzia. “Non più ma tira dai”, dicevano. Ora, invece, il commento è un altro: “Ma cavolo, che tripla!”.
È un segno di maturità. Anzi, della definitiva maturazione. Perché Alessandro non è più solo un gregario di lusso, ma un leader tecnico ed emotivo, un titolare inamovibile per coach Dusko Ivanović. L’arrivo di Vildoza, annunciato come il regista titolare, sembrava potergli ridurre lo spazio. E invece no: Pajola ha risposto sul campo, con la consueta difesa e un’aggressività in attacco che non aveva mai mostrato prima.

In difesa resta il solito fenomeno. Ogni palla vagante, è nei paraggi. Ogni volta che un avversario abbassa la testa o gira le spalle, Pajola è lì, pronto a colpire, a rubare il tempo, a cambiare l’azione. È come se il campo lo percepisse, come se sapesse sempre dove serve essere. E quella fame non si è mai spenta, nemmeno ora che il suo ruolo è cambiato.
Il passo più grande, però, è mentale. Un tempo aveva quasi paura di tirare, preferiva servire un compagno, evitare il rischio. Non voleva “rubare” un pallone in attacco, temeva di sbagliare. Ora no. Ora guarda il canestro, lo sfida, lo attacca. È diventato un giocatore completo, un punto di riferimento anche offensivo.

Dusko Ivanović lo sa bene: senza Pajola, la sua Virtus perde identità. Perché Pajola è il suo basket fatto uomo — energia, disciplina, coraggio. È il cuore difensivo e la mente lucida che regge il sistema.
Ma all’orizzonte si muovono anche pensieri nuovi. Il contratto è in scadenza, e la Virtus vuole blindarlo. Eppure, per la prima volta, è Pajola ad avere il potere della scelta. Forse la curiosità di misurarsi altrove, in contesti più competitivi, lontano dalla sua Bologna, lo stuzzica. Forse sente che qualcosa potrebbe ancora nascere, da un’altra parte d’Europa.
Eppure, la sensazione è che la Virtus e Pajola siano ancora due metà della stessa storia. Una storia fatta di sudore, appartenenza e crescita. Una storia che racconta come, a volte, il talento non sia solo nei punti segnati, ma in tutto ciò che non compare sul tabellino.
Perché sì, Pajola è la Virtus. E la Virtus, oggi, non può immaginarsi senza di lui.