L'immortalità passa attraverso un tendine: da Achille a Kobe, da Kevin a Tyrese

L'immortalità passa attraverso un tendine: da Achille a Kobe, da Kevin a Tyrese

(di FRANCESCO RIVANO). Chi non conosce la storia di Achille, figlio di Teti. Io l’epica l’ho sempre amata e nel corso della mia carriera scolastica l’ho catalogata fra le materie preferite. Le storie raccontate da Omero, gli intrecci fra le vite di Dei e mortali e le battaglie eroiche mi hanno sempre affascinato, estraniato dalla realtà e trascinato in mondi antichi fatti di eventi memorabili. Il peregrinare di Ulisse prima di tornare a Itaca, l’amore fra Paride e Elena, le mura di Troia e il famoso cavallo fatale alla città governata da Priamo, la sfida eterna tra Ettore e Achille. Avevo un debole per Ettore, forse perché mosso da nobili sentimenti, forse perché, in ogni sfida, io parteggio sempre per l’underdog. Ma quel duello era impossibile anche per un guerriero abile come lui, perché Achille non si poteva battere, perché Achille era invulnerabile, o quasi. Dai lo sapete tutti quale fosse il punto debole del “pelide” Achille. È  cosa nota che la madre Teti, prendendolo per un tallone lo immerse nel fiume Stige regalandogli l’invulnerabilità in tutto il corpo tranne che in quel tallone e sapete anche quale è sempre stata l’ambizione di Achille, quella immortalità dettata dalle sue prodezze eroiche e irripetibili. In effetti l’immortalità Achille se l’è guadagnata sul campo, le sue gesta osannate da Omero nell’Iliade risuonano ancora tra i banchi di scuola, ma l’immortalità della sua memoria è dovuta anche una parte del corpo riconosciuta dalla scienza con un nome ben preciso: il tendine d’Achille. Insomma la tanto ricercata immortalità del semidio Greco è anche dovuta alla sua vulnerabilità e non credo ne sarebbe andato fiero.

Si è appena conclusa la stagione 2024/2025 della NBA con gli Oklahoma City Thunder che si sono aggiudicati il titolo di Campioni. È stata una stagione  importante questa perché ha decretato un passaggio di consegne fra nuova e vecchia guardia. Tre delle quattro squadre arrivate in Finale di Conference erano vergini dal punto di vista delle vittorie NBA e se considerate che la quarta era New York, che non vince un titolo dal 1973, si può affermare che seppur non vergini è come se i Knikcs lo fossero di nuovo diventati dopo tanta astinenza. Anche i giocatori rappresentativi delle quattro squadre sono relativamente giovani visto che il MVP Shai Gilgeous-Alexander e Jalen Brunson sono stati scelti nel Draft del 2018 e Anthony Edwards con Tyrese Haliburton sono stati scelti nel 2020. Non più i soliti nomi, non più LeBron, Curry, Durant, e non più squadre di culto come Lakers, Boston o Golden State; spazio a nuova linfa vitale che avrà il compito di guidare la Lega negli anni a venire. Anche lo stile di gioco delle migliori non è sembrato quello tipico della Lega statunitense. Non più raccolte di figurine, non più accozzaglie di super star, non più hero ball. A pagare i dividendi quest’anno sono state la difesa e l’organizzazione di gioco sublimate dalla serie finale tra Thunder e Pacers. Sette gare da manuale del Basket che forse hanno reso più piacevole il mondo NBA agli scettici amanti dei fondamentali, della difesa e dell’attenzione ai dettagli. OKC è campione grazie alla programmazione lungimirante di Sam Presti e alle abilità di coach Mark Daigneault, ma la stessa sorte e le stesse lodi le avrebbero meritate i Pacers guidati dal veterano delle panchine Rick Carlisle se la serie avesse svoltato verso l’Indiana regalando un sogno a uno stato nel quale la pallacanestro è un culto. A rendere impossibile quella svolta verso Indianapolis è stato quanto accaduto a poco meno di 5 minuti dalla fine del primo quarto di Gara 7. I Pacers stavano facendo soffrire l’intero Paycom Center guidati dal loro playmaker in stato di grazia: tre canestri da tre punti in mezzo quarto e un controllo sul gioco non consueto per chi gioca una Gara 7 di finale in trasferta. Ma quando gli dei, e qui ritorniamo all’epica, ci mettono lo zampino, noi comuni mortali non possiamo farci nulla. Con un polpaccio già in disordine dopo gara 5 il sovraccarico funzionale a cui è stato sottoposto il tendine d’Achille del numero zero in maglia Pacers è stato eccessivo e sull’ennesima partenza palla in mano tesa a sferzare la difesa in recupero dei Thunder lo stesso tendine si è arreso gettando la spugna spegnendo i sogni di gloria di uno stato intero. Come fosse stato colpito dal dardo lanciato da Paride in fuga, Haliburton ha abbandonato la sfida e a nulla è valso il coraggio di T.J. McConnell e compagni nel tentativo di arginare il fiume in piena dei Thunder. Avrebbe vinto Indiana? Magari no, ma di certo una partita con Haliburton in campo sarebbe stata più combattuta rispetto a quanto successo da metà terzo quarto in poi. Di certo i Pacers hanno dimostrato di essere una squadra valida, competitiva e futuribile, ma una domanda sorge spontanea citando Antonio Lubrano: come si riprenderà Tyrese Haliburton?

E non solo lui. Questa stagione ha visto verificarsi una casualità preoccupante per gli amanti della cabala. Tre tendini d’Achille saltati durante i playoffs, tutti e tre a giocatori che vestono la maglia numero 0: Damian Lillard, Jason Tatum e Ty. Le sorti di tre squadre sono appese sul filo del recupero di un giocatore chiave e i segnali provenienti dal passato non sono incoraggianti. Se prendiamo come riferimento gli ultimi 9 giocatori più famosi ad aver subito questo infortunio dal 1992 a oggi non c’è da star sereni per i numeri 0. Dominique Wilkins, Laphonso Ellis, Elton Brand, Chauncey Billups, Kobe Bryant, Wesley Matthews, Rudy Gay, DeMarcus Cousins e Kevin Durant hanno fatto registrare une media di giorni di stop pari a 269 e ciò già significa che un anno andrà perso. Ma la cosa che più desta preoccupazione non sono tanto i tempi di recupero quanto il recupero della forma fisica completa. Se escludiamo Kevin Durant dotato di un fisico longilineo e filiforme, tutti gli altri giocatori citati, molto ben strutturati fisicamente, hanno sofferto il ritorno in campo e se la rottura del tendine d’Achille è stata l’inizio del declino fisico di un maniaco del lavoro come Kobe le nuvole all’orizzonte sembrano scure e portatrici di pioggia. Non c’è che da augurare il meglio a questi grandi campioni anche perché se Lillard ha “già” 34 anni, Tatum e Haliburton sono nel pieno della loro carriera sportiva e ancora tanto hanno da dare alle loro squadre e a questo sport in generale.

“Nel mondo ci sono cose molto ma molto più importanti di un tendine d'Achille rotto. Smettila di compatirti e rimettiti al lavoro con la stessa dedizione e la stessa convinzione di sempre. Un giorno intraprenderò un nuovo viaggio, inizierò una nuova carriera. Ma oggi non è quel giorno”.
Kobe Bryant

Forza ragazzi, quella maglia numero 0 vi aspetta ancora una volta per scrivere assieme a voi tante pagine epiche di questo sport, perché per diventare immortali come Achille, per essere ricordati per sempre nella storia del Basket, non importa se e come cadi, ma come sei in grado di rimetterti in piedi e fare al meglio il tuo lavoro che è quello di fare canestro.

----- Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. E da pochi mesi ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro.