Resilienza, ovvero: il coraggio di opporsi al destino

Resilienza, ovvero: il coraggio di opporsi al destino
© foto di Gilardi/Ciamillo

(di FRANCESCO RIVANO). Per oggi si cambia registro, non più un articolo che prende in considerazione un singolo giocatore, una singola squadra e nemmeno una singola partita. Ciò su cui voglio porre l’attenzione oggi è un aspetto fondamentale tanto nello sport quanto nella vita, un’attitudine, una peculiarità tipica dei migliori. Quante volte ci siamo trovati di fronte a una sfida difficile da affrontare, un match all’apparenza impossibile da vincere, una partita da sostenere tra mille difficoltà, fisiche, tecniche, ambientali. Ciò che distingue il campione dal giocatore comune è la capacità di adeguarsi alle problematiche che si presentano via via e di trovare la chiave di volta per poter superare ogni ostacolo. Spesso di sente parlare di resilienza. Io che ho fatto un percorso scolastico di natura tecnica e studiato tecnologia dei materiali, ho sempre conosciuto la resilienza come la resistenza alla rottura di un materiale sottoposto a sollecitazione dinamica. Il salto dai miei studi tecnici a quelli legati alla psicologia non è così diretto, ma basta una semplice analisi della caratteristica appena citata di alcuni materiali per poter traslare il concetto alla mente umana e alla sua capacità di sopportare e resistere  di fronte a traumi o difficoltà. Ecco quindi la resilienza di cui spesso si sente parlare anche abbinata agli esseri umani. E di esempi nello sport ne abbiamo a centinaia. 1970, stadio Azteca, semifinali dei mondiali di Calcio, la partita del secolo: Italia – Germania 4 a 3. Franz Beckenbauer, incurante di un intervento scomposto del nostro Pierluigi Cera, affronta gli ultimi minuti di partita e i supplementari con il braccio fasciato perché il corpo si può rompere, ma è la mente che comanda e un capitano non abbandona i compagni nel momento del bisogno; 15 Luglio 1948, si corre la tredicesima tappa del Tour de France da Cannes a Briançon: Gino Bartali nonostante i 21 minuti di ritardo accumulati fin lì nei confronti del francese Bobet decide che nulla è impossibile se il cuore lo comanda e pone le basi per la vittoria del Tour sulla cima del Colle dell’Izoard; 16 Ottobre 1968, Mexico City, dopo aver conquistato rispettivamente la medaglia d’oro e quella di bronzo nei 200 metri piani Tommie Smith e John Carlos si presentano sul podio con un guanto nero e alzano al cielo il pugno della protesta a favore dei diritti civili degli afroamericani, un gesto coraggioso a dimostrazione che non importano le ripercussioni se i tuoi ideali meritano di essere difesi. Giocare sopra il dolore, sovvertire un pronostico, esporsi pur di rivendicare i propri diritti: roba da campioni, roba da resilienti.

E nel Basket? Si potrebbe partire dal principio e citare il padre di questo meraviglioso gioco: Mr. Naismith. Se non è stato resiliente lui nel basket chi può dire di esserlo stato? Con un gruppo di alunni scalmanati da gestire, con un intero corpo docente a non dargli credito, cercando di competere con uno sport, il Football, che nel Massachusetts di fine ‘800 era pressoché un credo. Se solo vedesse dove è arrivata oggi la sua creatura nata grazie al suo spirito e alla sua forza d’animo. Oppure potremmo citare la madre del basket femminile, Senda Berenson capace di anticipare anche mister Naismith nell’organizzazione dei tornei a livello collegiale; eppure le donne a quei tempi erano viste perlopiù come oggetti, paragonabili agli elettrodomestici attuali, necessari agli uomini per procreare e dedicarsi alle faccende di casa; chi avrebbe mai osato pensare di vederle competere con una palla in mano da infilare in un cesto se non la resilienza di Miss Berenson. E di tutti quei ragazzi di colore che hanno lottato contro ogni forma di razzismo, che sono stati insultati, picchiati, umiliati per decenni, che hanno subito ogni sopruso  fino a diventare la linfa vitale della lega di Basket più famosa al mondo ne vogliamo parlare? Chi più di ognuno di loro può dichiarare di non aver mai mollato, di non essersi arreso, di aver lottato fisicamente e moralmente pur di realizzare un sogno. Pensate ai New York Renaissance o agli Harlem Globetrotters, alle visioni di  Bob Douglas e Abe Saperstein capaci di dare ai ragazzi di colore una dignità attraverso lo sport. Se affrontiamo il discorso di resistenza fisica al dolore potremmo prendere come ambasciatore Willis Reed. Finals del 1970, gara 7 contro i Lakers di Jerry West e Wilt Chamberlain. The Captain, dopo l’infortuni della gara precedente è in lista infortunati. Ma come si può rinunciare a una partita così importante “solo” per un problema fisico? Come dicevamo a inizio articolo è la mente che comanda sul corpo e Willis Reed scende in campo, zoppicando, mettendo a referto due canestri su due tiri tentati, infondendo una tale fiducia su compagni che la sua uscita prematura dal campo non sortirà nessun effetto negativo. Potere della volontà di opporsi al destino. Quello stesso destino a cui si è opposto Magic Johnson dopo lo shock della sieropositività del 1991. Una diagnosi del genere a quell’epoca avrebbe devastato l’animo e il corpo di chiunque, ma non quelli di Magic che a furor di popolo ha dato fondo a tutta la resilienza di cui era in possesso per tornare, vincere l’MVP dell’ALL Star Game e deliziare il mondo con la casacca del Dream Team in quel di Barcellona nel 1992. Potrei stare qui a citare migliaia di esempi, Alonzo Mourning e il ritorno al Basket giocato dopo un trapianto renale, Shaun Livingston passato dal rischio di amputazione della gamba dopo un grave infortunio a Campione NBA, Allen Iverson che in Gara 1 delle Finals del 2001 si ribella alla sconfitta e batte, seppur solo una volta, la corazzata Lakers. Casi eclatanti,  episodi fuori dall’ordinario, che hanno dato un esito del tutto differente da quello scontato solo grazie alla resilienza di uomini di sport, di uomini veri. Non c’è bisogno di andare avanti anche perché credo che il concetto sia chiaro abbastanza per arrivare alle considerazioni finali di questo appuntamento settimanale.

Purtroppo è triste notizia di questa settimana che il neo campione d’Italia Achille Polonara, dopo aver vinto nel 2023 una sfida memorabile contro un avversario tenace come un tumore, sia costretto a riscendere in campo per giocare una Gara 2 che mai si sarebbe sognato di dovere affrontare. Quella che lo aspetta è una partita dura, infima, ricca di insidie. Lo farà da Campione d’Italia, lo farà con la forza che lo contraddistingue, lo farà con il sostegno di ogni tifoso di basket. Servirà l’impresa dei campioni, la tenacia degli uomini veri, un cuore enorme e un animo forte e combattivo. Forza Achi, siamo tutti con te, ti aspettiamo ancora una volta sul parquet con la palla in mano a raccontare ai giovani e a chi ha bisogno di sostegno, che con la resilienza ci si può opporre alla sconfitta e si possono superare le sfide  più difficili che la vita può riservare.

----- Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. E da pochi mesi ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro.