The Captain and the Truth: la verità vince sempre

(di FRANCESCO RIVANO). Se c’è una cosa che alla fine vien sempre fuori, beh quella è la verità. Puoi nasconderla per tutto il tempo che riesci ma alla fine viene a galla e se per te è un problema allora devi iniziare a preoccuparti. Devi essere bravo, che dico bravo, devi essere perfetto per tenerla all’oscuro, devi impegnarti a fondo e devi essere disposto a sapere che, dal momento in cui decidi di volerla occultare, non potrai fare passi falsi. “Ball don’t lie” urlava Sheed e come dar torto al Professor Wallace. Anche una cosa inanimata, fredda, manovrata dall’uomo come lo Spalding non è in grado di tenere nascosta la verità, alla fine vince sempre lei. Ma cosa è la verità? Come posso spiegare a parole un concetto così astratto ma al contempo così presente nella vita di ognuno di noi. Come faccio a definire l’essenza di questa semplice parola. Parmenide ha provato a definirla contrapponendola all’errore: “L’essere è, il non essere non è”. Aristotele ha insegnato in modo molto contorto ma allo stesso tempo piuttosto chiaro che “dire di ciò che è che non è, o di ciò che non è che è, è falso; dire di ciò che è che è, o di ciò che non è che non è, è vero”. Kant ci ha fatto intendere che alla verità si può arrivare, anche casualmente, ma che la verità non può essere posseduta. Ma se proprio dovessi trovarmi dietro una cattedra a spiegare cosa sia la verità credo che l’unica definizione che possa essere compresa senza pericolo di essere frainteso, non compreso o noioso è la seguente: “Sapevo che fosse in grado di giocare, ma non sapevo potesse giocare in questa maniera. Paul Pierce è La Verità”. Citazione di Shaquille O’Neal, o per l’occasione, The Big Aristotele.
Facciamo qualche passo indietro e pigiate sul tastino rewind del vostro telecomando. Se fossi nato in California a fine anni ’70 e fossi cresciuto a Inglewood, sono più che convinto che sarei venuto su con una leggera ma chiara sfumatura di giallo viola in quel liquido che scorre nelle vene e che usiamo chiamare sangue. E già, perché Inglewood è la città di The Forum, il palazzo che ha ospitato le partite di basket nei giochi olimpici di Los Angeles nel 1984, ma soprattutto è stata la casa dei Lakers dello Show Time. Come si fa a non amare il basket se respiri l’aria dello Show Time e del Forum; come fai a non provare ad entrare a far parte della squadra della High School in cui tua madre ti ha iscritto (tua madre e non tuo padre, perché un padre non lo hai mai avuto) se vivi nella città di Magic e Kareem; come fai a non provare a sfondare in questo sport se ti rendi conto di avere del talento e l’unico obiettivo che si pone la tua mente è giocare quelle Finals che i Lakers raggiungono a ripetizione, spesso e volentieri contro gli acerrimi rivali di Boston.
Ho detto Boston? Fast Forward: “Alla numero dieci, dall’università di Kansas, i Boston Celtics selezionano….Paul Pierce”. Non i Lakers e neanche i coinquilini Clippers. Sembra uno scherzo del destino vedere un ragazzo nato a Oakland, ma cresciuto al Forum di Inglewood indossare la casacca bianco verde ma a volte la vita riserva delle sorprese. Anche perché dei Celtics del nuovo millennio Paul è l’emblema, l’uomo copertina, il capitano. Entra in quintetto fin da subito e non ne uscirà mai nel corso di tutta la carriera in bianco verde. Anni a crivellare la retina, NO MERCY, così come senza pietà è stato crivellato il suo corpo, undici volte, dopo uno scambio di opinioni al Buzz Club di Boston. Ma niente ferma la verità. Con il 34 sulle spalle e sul petto ad immergersi nella filosofia di vita Celtics, sia negli abissi dei primi anni 2000, sia negli acuti con l’avvento dei big three, per concludere con l’anello riportato al Garden nel 2008. Non servono dati statistici, medie, analisi e riferimenti numerici; a volte basta un semplice ricordo per immortalare la grandezza di un uomo. Ricorderò per sempre un istantanea del titolo Celtics del 2008 e non sono i 41 punti messi a referto in faccia a Lebron in gara 7 di semifinale di Conference contro i Cavs. A volte le partite NBA sono condite da episodi che sembrano scritti da uno sceneggiatore e anche piuttosto bravo. È gara 1 delle Finals e la partita è in equilibrio. Paul è costretto ad abbandonare il parquet per un infortunio, viene portato via a braccia e si dirige negli spogliatoi in carrozzella. Sembra che l’episodio debba segnare l’andamento della gara indirizzando definitivamente l’inerzia lontana dai campioni della Eastern Conference privati del loro capitano. Flash Back: ricordate il rientro in campo di Willis Reed dopo l’infortunio e la sua commovente prestazione contro Wilt che regalò l’anello ai Knicks nel lontano 1970? La storia si ripete e ancora una volta a farne le spese sono i Lakers. Il rientro di Pierce e tutto ciò che ne consegue sono la fotografia della vittoria bianco verde e della dipendenza tecnica ma ancor più psicologica dei Celtics dal loro capitano. Non ditelo a coach Zen che ha creduto il giusto all’entità di quell’infortunio, ma episodi del genere cambiano l’andamento di una serie e in quel caso indirizzarono le Finals. Vittoria e MVP delle Finali. Come back to the Finals nel 2010 ma questa volta lo strapotere tecnico di Kobe non lascia scampo. Negli anni che lo separano dall’addio ai Celtics, Paul fa in tempo a superare Larry Bird nella classifica dei migliori marcatori di sempre della squadra più titolata della lega. Brooklyn, Washington e ora Clippers non hanno ricevuto lo stesso trattamento che Pierce ha riservato ai Celtics ma la sua capacità di emergere in the Clutch non è mai sparita. Non ci sono riusciti i più grandi difensori della lega ad occultare la Verità e neanche la memoria di chi ti ha visto all’opera riuscirà a spuntarla, perche in fondo in fondo la Verità vince sempre. The Captain and the Truth, l’uomo da Inglewood che regnò al Garden, semplicemente Paul Pierce.
----- Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. E da pochi mesi ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro.