Openjobmetis Varese, la presentazione di Allerik Freeman e Stefan Moody

La Openjobmetis Varese ha presentato Allerik Freeman e Stefan Moody. Le parole dei due americani:
Freeman. «Fin dal primo giorno sono stato accolto molto bene da tutti. Ho avuto l’impressione di essere in un posto in cui il basket è molto importante e questo ci dà una spinta in più per fare bene. Per il tipo d’infortunio che ho avuto, generalmente, il periodo di recupero è di un anno; ora siamo a 9 mesi ma mi sento bene, sento che il corpo sta rispondendo bene e sono felice di essere molto più avanti nel recupero. Tutte le analisi ed i dati mostrano che sono molto più avanti e questo mi aiuta a reggere il ritmo di lavoro in allenamento, così come in partita, anche se non sono ancora al top. Non ci sono tante società in Europa che hanno uno staff medico come quello che ho trovato qui. In un mese di lavoro mi hanno aiutato a recuperare dall’infortunio ma anche a crescere sotto altri punti di vista. Per me si tratta della seconda esperienza in Italia; del campionato italiano mi piace l’atletismo, fattore che rende più rapido e fluido il gioco. Aspetti negativi? Non sono il tipo di persona che analizza gli aspetti negativi. Posso dire però che a Venezia non è andata come volevo perché ero in una squadra con dodici giocatori di altissimo livello e se la matematica non è un'opinione non tutti potevano giocare per 40 minuti».
Moody. «Sono molto felice di essere qui, siamo un gruppo che sta bene insieme. Mi piace com’è iniziata la stagione dal punto di vista degli allenamenti, ora dobbiamo prepararci al meglio per l'inizio del campionato. Perché ho scelto Varese? Volevo fare un'esperienza in Italia, ma la cosa che ha fatto la differenza è stata senza dubbio la grande tradizione di questo club. Devo ancora adattarmi al sistema di gioco che vuole Kastritis ma è una cosa normale e non c’è altra via che il lavoro giorno dopo giorno. Mi sto accorgendo che dall’inizio ad adesso mi sto adattando molto di più alle richieste che mi vengono fatte anche se sono ancora in una fase di sviluppo e conoscenza. Il numero 42? Mio papà era un giocatore di football e usava questo numero, così ho deciso di prenderlo anche io per portare avanti la tradizione».