Mike Green e la sua vita...salvata dal basket

Sono cresciuto nel quartiere più malfamato di Phìladelphia: si chiama Bìumberg Projects, un nome che nella mia città suona sinistro. Un posto dove non vorresti mai capitare. Da non augurare nemmeno al tuo peggior nemico».
Il classico ghetto delle metropoli americane.
Due palazzoni-palazzacci enormi, che non finiscono mai, di 18 piani ciascuno. In mezzo, il nulla. Il vuoto. Famiglie povere, senza alcuna prospettiva. Il lavoro non c'è e così, nella migliore delle ipotesi, si cerca di vivere di espedienti. Anche se sarebbe preferibile dire si cerca di sopravvivere. O almeno ci si prova.
Lei, invece, ce l'ha fatta a "svoltare".
Sì, ma non lo considero un merito, semmai un colpo di fortuna. Avevo solo l'imbarazzo delle scelta: avrei potuto spacciare droga o farne uso, rubare o spaccare la faccia a qualcuno e pure magari fare una brutta fine come qualche mio amico che ora non è più tra noi. Invece no, perché il basket mi ha davvero salvato la vita.
Quando è avvenuto?
Avevo 10 anni, mia mamma provava a farmi capire che investire su un dignitoso percorso scolastico era meglio che affidarsi alla strada. Un concetto che ancora non capivo, ma intanto avevo iniziato a giocare a basket non più solo in mezzo a una strada ma dentro una palestra: a 10 anni, appunto, il primo trofeo vinto mi ha "illuminato". Ho incominciato a girare, a uscire dal ghetto, a vedere altre città, a constatare che un altro mondo era possibile, a intuire che la pallacanestro poteva diventare una cosa seria. Un'aspirazione, intanto, un'occupazione poi. Mi è andata bene...
Per la felicità anche di sua madre.
Sono figlio unico, mamma Elena non ha potuto terminare la scuola superiore perché io sono arrivato prima. Mio padre l'ho perso a sei anni e così io e mamma siamo uniti da un forte legame. La ringrazio perché mi ha dato una grossa mano a non finire nei guai.
Ora è lei a essere diventato genitore.
Mio figlio ha poco più di due anni e la sua nascita nel luglio del 2008 ha contribuito a dare una svolta alla mia carriera. In che senso? Proprio in quel periodo avrei dovuto partire per Cleveland per partecipare alla Summer League di Las Vegas. In pratica,'avrebbero potuto aprirsi le porte della Nba. Ma su quell'aereo non sono mai salito. Con un bimbo da crescere e una famiglia da mantenere non mi sarei potuto permettere di stare tre-quattro mesi senza prendere soldi. A quei potenziali tanti denari ne ho preferiti pochi ma sicuri. E così si è avviata la mia avventura in Europa, prima in Turchia e poi in Belgio.
Con la compagna e il bambino sempre al suo fianco.
Come potremmo vivere lontano l'uno dagli altri? Ora è ciò che dì più importante ho nella vita e sta crescendo così come avrei sempre voluto. Tutto quello che faccio è in funzione sua, perché vorrei assicurargli un'infanzia meno disagiata di quella che ha avuto suo padre.
In realtà, non sta pensando solo a suo figlio, vero?
La premessa è che non gioco solo per me stesso ma anche per quei giovani che continuano a vivere e, purtroppo, a morire nel mìo quartiere. Per loro voglio essere non solo un esempio ma pure un aiuto concreto. Per questo motivo ogni estate ritorno a Bìumberg Projects, do un'occhiata ai ragazzini più promettenti e li segnalo ad alcuni allenatori che conosco di college di seconda e terza fascia della Pennsylvania. Perché anche solo una borsa di studio, per loro vorrebbe dire potersi mettere i guai alle spalle.
Un cuore grande, il suo, eppure il suo motto non è mai stato quello decubertiano dell'importante è partecipare.
Ho sempre sostenuto che in questo sport solo chi taglia la retina ha ragione. Non seleziono le partite, non faccio distinguo tra gare più o meno importanti, perché io ogni volta che c'è in palio qualcosa ci tengo tantissimo a vincere. Compresi questi tornei precampionato. Il solo essere competitivo non mi basta.
A Cantù si aspettano molto da lei
Quello che ho appena compiuto è un grande salto all'interno della mia carriera. Il mio obiettivo è sempre stato di voler continuare a crescere per poter giocare ai massimi livelli, compatibilmente, è ovvio, con le mie possibilità. Ebbene, ringrazio Cantù dì avermi offerto questa opportunità.
Ci pensa ancora alla Nba?
Non c'è un solo giocatore americano che non abbia questo sogno. Ma non ne faccio più una malattia. Dovesse capitare, bene. Diversamente, bene lo stesso.
Dica la verità: prima di giungere in Europa aveva mai sentito parlare di Cantù?
Certo che sì! Soprattutto nell'ultimo decennio sono stati molti i giocatori americani a essere passati da qui. E sapevo che questo club è circondato da una solida reputazione. Circostanza che ho appurato subito al mio arrivo. A consigliarmela, questa destinazione, sono stati tra gli altri Schortsanitis, il Green mio omonimo che gioca ad Avellino e lo stesso Leunen con il quale quest'estate ho giocato in Summer League.
Le hanno anticipato che al Pianella il tifo è di quelli caldi?
Certo, i compagni che hanno giocato qui la scorsa stagione mi hanno detto tutto. E sono felice, perché io amo un clima così. Al college i supporter si facevano sentire, ma anche in Belgio non ci si poteva lamentare, mentre in Turchia gli spettatori erano più spenti. Ribadisco, mi affascina il pensiero di giocare in un catino del genere e in un ambiente dalla grande tradizione cestistica quale quello canturino. A proposito di Cantù, ha fatto conoscenza con la città? Per ora l'unico tragitto che conosco è quello casa-palazzetto. La mia compagna, però, è da un po' che mi va ripetendo "dai, facciamo qualcosa". Mi sa che è l'ora di portarla un po' a spasso...
A proposito di conoscenza, quando è iniziata la vostra relazione?
Sette anni fa. Lei abitava a dieci minuti dal mio quartiere, in una zona non così squallida anche se poco ci manca. E la sua storia è abbastanza simile alla mia.
Frequentate compagni di squadra?
I nostri rapporti all'interno della squadra sono ottimi e, francamente, non credevo di trovare un gruppo già così affiatato. Ma fuori dal campo ci stiamo ancora conoscendo e dunque non c'è ancora una vera e propria frequentazione. Ma penso sia solo questione dì tempo.
Cucina americana o siete già passati a quella italiana?
Ancora molto americana, ma gli spaghetti mi fanno impazzire.
Torniamo al basket: c'è un ricordo che vorrebbe cancellare?
L'anno in cui con la squadra del mio college volammo alla fase finale del torneo universitario, nella partita contro Florida andai a rimbalzo dopo un mio tiro sbagliato. Ebbene, una gomitata -spero involontaria! - di un avversario mi fece saltare due denti. Ora, però, va meglio (e nel frattempo sorrìde mostrandola dentatura).
Uno sguardo al futuro. Vede solo il basket nella sua vita?
E chi lo può dire? Ho soltanto 25 anni e mi auguro di avere davanti a me ancora moltissime stagioni. Senza dimenticare che ho una laurea nel cassetto.
Laurea in?
Criminologia
Ma come, proprio lei in criminologia?
Certo, per me è stato più facile studiare questa "materia" perché, dopo una giovinezza passata in un posto del genere, praticamente non c'era crimine che non conoscessi. Anzi. Solo dopo ho imparato a chiamarli crimini perché per me, purtroppo, erano stati a lungo esempi di vita.
Fabio Cavagna