Basket femminile in crisi? Si ma le giovanili, però...II^parte
Nella prima parte di questo approfondimento sulla questione della salute del nostro basket femminile ci siamo soffermati sugli aspetti tecnici, fisici, di legislazione Fiba e nazionale troppo differenti, sul livello dei campionati, sulle Nazionali giovanili e sulla questione reclutamento.
In questa seconda parte abbiamo pensato di partire da un ragionamento sulla capacità del movimento di farsi conoscere ed attirare giovani ragazze. Punto primo: le continue sconfitte a livello senior non aiutano affatto sebbene l’effetto trainante della Nazionale maschile di rugby direbbe il contrario: poche vittorie ma tesserati e TESSERATE in aumento. Conta il fascino di giocare contro Nazionali leggendarie come gli All Blacks, gli Sprinbocks, gli Wallabies, Los Pumas, le Blues – Nuova Zelanda,Sudafrica, Australia, Argentina, Francia e via discorrendo? Può darsi ma i fatti dicono che più si perde e più la gente ha voglia di giocare a rugby.
Che pure è uno sport di contatto, di forte ingaggio fisico nel quale le donne si trovano benissimo quindi anche la scusa che a pallacanestro “ci si fa male”non regge se le famiglie fanno altre scelte.
La questione è che proprio della pallacanestro non importa più nulla a nessuno: non importa ai vertici federali e della LBF perché dovrebbe interessare gli altri?
Eppure tanti segnali importanti dovrebbero farci riflettere. Il marketing, ne abbiano accennato da quale che parte. Negli Stati Uniti gli store delle squadre di college e dell’NBA sono orientati alle ragazze che una volta mamme o nonne faranno le scelte di vita di una famiglia. Per cui dalle tazzine per la colazione col logo dell’Università al copriletto o al piumino per dormire caldi, dal dentifricio col nome dell’ateneo all’initmo per tutti e due. Ecco queste cose chi le compra? Un uomo? Difficilissimo. Ma non basta. La moda internazionale - come segnala Linkiesta in questo articolo – si sta dirigendo sempre di più verso le atlete. Il fatto che Prada vesta Catlin Clark per la sera del draft è un segnale fortissimo. Ma ce ne sono altri e lo abbiamo segnalato qui.
Sono gli Stati Uniti modello unico ed irripetibile, ma qui nessuno dice di imitare pedissequamente: guardare, copiare, adattare, provare. L’evento della Ferrari nell’ultima settimana di agosto a Piazza San Babila a Milano – presentazione di una nuova serie di occhiali – non solo ha registrato una folla enorme ma ha chiamato a raccolta una quantità di donne, ragazze, ragazzine straordinaria. Certo c’erano Leclerc e Sainz i due piloti Ferrari, ma non è questo il problema. La pallacanestro femminile italiana non ha Clark, Leclerc o altre figure “mitiche” da esibire. Ma ha tante ragazze capaci di raccontare la loro storia anche con un sorriso o dicendo quanto è buono una certa bevanda piuttosto che una macchina. Voglio dire: non devono fare pubblicità per forza ma vanno aiutate a farsi promozione, vanno fatte vedere fuori e dentro il campo. Talvolta i club fanno delle cose molto carine per i loro sponsor ma rimangono intanto locali, e poi con un fine ben preciso e limitato per quanto necessario.
Pensare di fare altro?
Senza svilire nessuna e nessun pensiero stupido, facciamo vedere al mondo della famiglie italiane che Matilde Villa, Cecilia Zandalasini, Laura Spreafico, Carlotta Zanardi – abbiamo preso due giovani e due più grandi – esistono non solo nella fantasia dei pochi appassionati di questo sport. Questo vorrebbe dire accompagnare un percorso del genere ad una visibilità televisiva degna di questo nome. E’ inammissibile che le partite si possano vedere solo su LBF TV a pagamento e con una qualità spesso non dignitosa delle riprese checchè ne dica l’Ufficio Stampa della LBF, che anzi se qualche società cerca, mette a disposizione un telecronista, fallita la Oxygen Roma…Vabbè sciocchezze da rosicone direbbe qualcuno, ed ammettiamolo pure. Rimane il fatto che una partita ogni tanto come lo scorso anno e poi i playoff, non bastano allo scopo di visibilità di cui le nostre giocatrici hanno bisogno.
Tutto ciò detto, si deve partire, come abbiamo scritto nella parte finale della prima puntata, dal reclutamento fatto “cantina per cantina” scuola per scuola, anfratto per anfratto, campi e campetti di ogni luogo. Senza il reclutamento fatto come si deve – chiedendo anche a chi lo ha fatto molto bene in questi anni, copiando magari – tutti i discorsi sono inutili, a cominciare da queste due puntate sullo status della nostra pallacanestro femminile. Pochi numeri poca scelta poche chance di emergere se non casualmente con la coincidenza australe di un gruppo di fenomeni. La Francia ha lavorato benissimo: nelle ultime due Olimpiadi, i maschi due volte in finale, le donne una finale ed un terzo posto. Umberto De Santis ne ha scritto qui.
La tristezza di tutto quanto scritto sin qui è che circa vent’anni fa qualcuno faceva già questi ragionamenti. Ho ritrovato gli appunti di un dirigente, ormai in pensione. Ecco, in modalità random cosa scriveva:” Siamo nella seconda fascia, quella delle squadre che hanno sì un discreto talento, una discreta tecnica, ma che ancora una volta hanno dimostrato di non “tenere” emotivamente, oltre che fisicamente, la responsabilità di far seguire ad una prova consistente un’altra prova convincente… Non vediamo sinceramente grandi alternative sul piano delle atlete. L’alternativa la vediamo invece sul piano della mentalità, individuale e generale. Imprescindibile un cambiamento. Perché se si ha la bontà di andare a riprendere i testi sacri della critica, si osserverà che le considerazioni di oggi sono le stesse da sempre. La nazionale è espressione del nostro movimento, ed il nostro movimento vacilla, al di là dei toni a volte trionfalistici circa stagioni da record. . ”. Impressionante vero? Sembrano concetti scritti in questo ultimo infernale mese di agosto. Ed invece risalgono a circa, un po' meno, vent’anni fa.
Ora la domanda è questa: cosa hanno fatto Federazione e Lega Basket femminile per intervenire e far girare questo trend? Ognuno si dia la risposta da solo. Alla prossima