Quando la storia non ha un copione: Thunder-Pacers e la partita che nessuno aveva scritto

22.06.2025 08:13 di  Gianfranco Pezzolato  Twitter:    vedi letture
Quando la storia non ha un copione: Thunder-Pacers e la partita che nessuno aveva scritto

Ci sono partite che nascono leggendarie, altre che lo diventano strada facendo. E poi ci sono gare come questa: che nessuno aveva previsto, che nessuno sapeva di desiderare  e che ora nessuno può permettersi di perdere. Oklahoma City Thunder e Indiana Pacers si ritrovano alla settima e ultima partita delle Finals NBA, una sfida tra due squadre senza pedigree da dinastia, senza superstar da copertina, ma con una narrazione esplosiva che ha frantumato ogni gerarchia precompilata della lega. È la ventesima volta, su 79 edizioni, che il titolo NBA si decide in gara 7. Ma mai prima d’ora la posta in gioco era stata così carica di significati non scritti: né i Thunder né i Pacers hanno mai vinto un titolo, eppure sono arrivati qui dopo stagioni costruite più con l’ossessione che con il budget. Niente scorciatoie, niente “super team”: solo un’idea di pallacanestro e la volontà feroce di trasformarla in realtà.

In un campionato dominato per anni da volti noti e metropoli ingombranti, la finale 2025 è un’anomalia che brilla. Le due città, Oklahoma City e Indianapolis non sono capitali del glamour sportivo americano. Ma proprio per questo, gara 7 ha il sapore di un’epopea collettiva: due comunità intere che si giocano un sogno, e due squadre che hanno fatto della coralità il loro manifesto tecnico e culturale. La storia suggerisce equilibrio: 15 volte su 19, la squadra di casa ha vinto la gara 7 delle Finals. E i Thunder, con il miglior record della stagione regolare (68-14), partono con il favore del pronostico. Ma i Pacers sono l’incarnazione perfetta dell’imprevedibile: rimonte impossibili, partite strappate con le unghie e una tenuta mentale che li ha trasformati nella mina vagante più letale della postseason. Il fascino di questa sfida, però, non si misura in statistiche. Si misura nell’assenza di riferimenti, nel fatto che non ci siano precedenti da ricalcare. Non c’è una dinastia da difendere, né un erede da incoronare. Solo una finale che è diventata finale per meriti evidenti ma insospettati, per talento diffuso più che concentrato, per una bellezza spartana che ha stregato chi ha saputo guardare oltre il nome sulla maglia. L’ultima gara-7 delle Finals risale al 2016, quando i Cavaliers di LeBron completarono la rimonta contro i 73-win Warriors. Quella fu una finale mitologica. Questa sarà una finale mitopoietica: perché la leggenda, stavolta, non viene da chi ha già scritto pagine indelebili, ma da chi la penna l’ha appena affilata.

L’NBA che in patria fatica oggi a mantenere il suo seguito  punta tutto su questa notte. Lo sa bene: la tensione pura di una gara-7 è il racconto perfetto. Unico nel suo genere, imprevedibile per definizione. Dove ogni possesso pesa, ogni canestro diventa storia, e ogni errore è una crepa nella gloria. E così, nella notte italiana tra domenica e lunedì, alle ore 2:00, non ci sarà solo una palla a due. Ci sarà un bivio. Due squadre che nessuno voleva all’inizio, ma che ora nessuno vuole perdere di vista.