Papà Doncic: "Ho lasciato da solo mio figlio Luka per renderlo grande"

Fonte: La Repubblica ed. Roma - Gigi Riva
Papà Doncic: "Ho lasciato da solo mio figlio Luka per renderlo grande"

Ma lei, Sasha Doncic, padre di Luka, il nuovo fenomeno del basket mondiale, sarà il 17 febbraio a Charlotte per l'All-Star game Nba in cui potrebbe giocare suo figlio pochi giorni prima di compiere 20 anni? Sasha, 44 anni, origini serbe, nazionalitàjugoslava e poi slovena, alto 2 metri, ex giocatore di pallacanestro, una montagna d'uomo dagli occhi chiari e dolci, si prende un attimo di riflessione per articolare la risposta. «No. Vorrebbe dire stare lontano da Lubiana una settimana. E io qui ho delle responsabilità. Alleno rilirija Lubiana, squadra storica con cui cominciai la mia carriera da giocatore e con cui ho un debito di riconoscenza, stiamo lottando per salvarci in serie A, ho 150 ragazzi del minibasket da seguire. Per loro e per i loro genitori sono un punto di riferimento. Poi ho un'altra figlia, Tijana, di neanche due anni, avuta dalla nuova compagna, che ha bisogno di me. Luka ormai è grande, ha la sua vita, io la mia. A Dallas dove gioca ha nuovi amici, vive con la compagna, Anamaria Goltes, c'è la madre Mirjam Poterbin, il procuratore Bill Duffy».

L'uomo che mise a due anni ima palla a spicchi nelle mani fatate di Luka fa qualche passo indietro, si toghe dalla luce riflessa, preferisce una candela purché tutta sua. «In verità gli ho fatto provare ogni sport, non ho forzato nulla. Era bravo anche a calcio, forse sarebbe emerso in qualunque disciplina. Dentro di me sapevo che avrebbe scelto il basket fin da quando il suo massimo desiderio era venire a vedere le mie partite a Novo Mesto perché nell'intervallo poteva tirare a canestro. A malapena camminava e già palleggiava con entrambe le mani. Una sensibilità rara nei polpastrelli». Alla scuola elementare "Miran Jarc" di Lubiana la scelta definitiva del basket, l'ingresso nel vivaio dell'Olimpjja. Serio, taciturno, costante, disciplinato. E una volontà di ferro. Mai arrendevole davanti ai soprusi. Come quando tira un pallone in faccia a un avversario che lo offende gridando "sporco serbo" pervia delle origini del padre. Gli hobby, quelli tipici dell'età, playstation, i social network. E il chiodo fisso di diventare il migliore. In famiglia insistono, pensa alla scuola, devi avere un piano B se le cose vanno male con la pallacanestro. «Anche se non ho mai pensato che potesse diventare uno scienziato».

Il talento esplode precoce, rubando spazio ai libri, quando ha solo 13 anni, nel 2012. In finale al torneo Lido di Roma rifila 54 punti conditi con 11 rimbalzi e 10 assist alla Lazio. A casa Doncic squilla il telefono, chiamate internazionali da Russia, Turchia, Spagna. Tutti lo vogliono. Il ricordo di Sasha. «Luka mi chiedeva di continuo dei pareri su come giocasse. E io gli rispondevo: hai un coach, rivolgiti a lui. Non volevo interferire. Però su una scelta così cruciale come quella del team ho voluto dargli una mano. Siamo andati col procuratore ed ex giocatore Mirko Milicevic al Galatasaray, Istanbul. Impianti e strutture eccellenti ma allenamenti non all'altezza, io qualcosa ne capisco. Allora decidiamo di provare in Spagna. Due appuntamenti. Prima a Madrid poi a Barcellona. L'aereo che ci porta nella capitale fa otto ore di ritardo perché un deficiente si è chiuso nella toilette dicendo che ha una bomba e la farà esplodere. Quando finalmente arriviamo, l'allenamento è finito, gli altri ragazzi se se stanno andando. Alberto Angulo però rientra in palestra per una prova individuale. Luka subito mette 10 su 10 da tre. Non c'è bisogno d'altro. Preso. Dovevamo andare a dormire insieme in albergo, ha preferito restare nella foresteria del Real anche se non sapeva una parola di spagnolo. A Barcellona non ci siamo nemmeno andati. Aveva scelto».

Papà Doncic chiede consigli a Nikola Mirotic, un montenegrino, che aveva avuto lo stesso percorso. «Mi ha suggerito di lasciarlo solo. Lui aveva con sé la famiglia, finiva sempre per parlare in casa la nostra lingua e ha impiegato due anni per imparare lo spagnolo. Dico a Luka forza, male che vada avrai fatto un'esperienza, avrai viaggiato». Sasha resta a casa, l'ex moglie da cui ormai è separato, Mirjam Poterbin, danzatrice campionessa del mondo, modella, una delle più belle donne di Slovenia, segue invece il figlio, ne diventa l'ingombrante ombra, onnipresente nella rapidissima scalata al successo. Durante uno dei rari ritorni in patria, il ragazzo d'oro a 16 anni conosce e si fidanza con Anamaria Goltes, maggiore di lui di un anno, pure modella. Madre, morosa e persino la possibile futura suocera accompagnano nelle situazioni pubbliche la verdissima star. Sasha osserva da lontano quel mondo di lussi, copertine, milioni di dollari, Ferrari in garage. Lo compara con la situazione del suo club «che ha un budget totale di 150 mila euro» e non ne prova invidia. Gli basta.

Quanto al figlio, cerca di tenere i piedi per terra. «Quando la piccola Slovenia ha vinto l'Europeo, tutti hanno indicato Luka come l'uomo decisivo. Io credo che in una graduatoria dei meriti prima venga l'allenatore, Igor Kokoskov, poi il playmaker, Goran Dragic, e per terzo Luka. Da quei due ha imparato molto, ha preso fiducia. Tutta esperienza che gli è servita a Madrid dove Pablo Laso gli ha dato una enorme chance, cosa per cui gli sarò per sempre grato». Ora c'è Dallas, l'Nba, le statistiche del primo anno che lo collocano molto in alto nella graduatoria ali time. «Le statistiche sono statistiche, non dicono tutto. È presto per dire cosa sarà Luka. Avremo una visione più precisa tra 5-6 anni. Io, e non lo dico da padre, ma da allenatore, sperando di non sembrare psicopatico, credo che potenzialmente sia un fenomeno ma lo deve dimostrare. Ho sempre detto sia a lui sia a Jurij Macura, suo coetaneo attualmente al Baskonia, che hanno mezzi tecnici e atletici talmente enormi che il loro obiettivo non deve essere giocare neh' Nba ma lasciare tracce nell'Nba, segnarne la storia».

Chissà come è per un padre quando un figlio fa lo stesso mestiere e lo supera di gran lunga. «Per me nessun problema. Dico solo grazie a Dio lui è meglio di me. Ho avuto le mie chances me le sono giocate diversamente. A16-17 anni quando ero nazionale jugoslavo nelle categorie giovanili, mi comandavano gli ormoni. Non ho mai voluto provare all'estero, eppure ho avuto delle chances. Ma va bene così, non rimpiango nulla. Lio avuto la vita che volevo, quella che a ogni passaggio dell'età mi sembrava la più giustae. Comunque il basket per me è tutto, è la vita. Non voglio essere irrispettoso verso gli altri sport ma è il massimo. Nel calcio usi le gambe. Se usi gambe e mani è pallamano. Se usi gambe, mani e cervello, quello è basket». Ora non si alza di notte per vedere le partite oltreoceano, semmai lo fa se frigna Tijana, guarda solo gli highlights. «Luka l'ho visto l'ultima volta prima che partisse per gli Stati Uniti. Cosa gli direi se lo incontrassi oggi? Niente, gli darei un bacio. Come ogni buon padre normale»