Pathos e sorpresa, la prima volta che gli USA persero la finale olimpica
(di FRANCESCO RIVANO). Eccoci arrivati all’epilogo della rassegna olimpica del Basket. Un epilogo che poteva essere ampiamente previsto e che vedrà contrapporsi le due squadre favorite e forse più complete. Pensare che la Francia, in casa, di fronte a un pubblico scatenato, si sarebbe fatta sfuggire l’occasione di arrivare fino in fondo, era pura utopia a inizio torneo, eppure durante la fase a gironi qualche dubbio l’ha destato. Solo quando Coach Vincent Collet si è reso conto che in campo rende più l’efficacia che il curriculum e ha sfruttato maggiormente Yabusele e Lessort lasciando le briciole a Gobert, i Bleus si sono presi in rassegna lo scalpo della succursale Nba del Canada e dei campioni del mondo in carica della Germania. Dall’altra parte, manco a dirlo, ci sarà Team USA che dopo aver passeggiato fino ai quarti, in semifinale si è preso un bello spavento contro la Serbia di Pesic. Oggi avremmo potuto parlare di un’impresa, di un piccolo stato dell’Est Europeo che ha battuto la superpotenza statunitense, avremmo potuto incensare ancora una volta le doti di un fenomeno come Jokic, di come il basket FIBA risulti indigesto ai ragazzi d’oltreoceano e invece no, uno Steph Curry nella versione deluxe e un LeBron James in tripla doppia hanno ristabilito l’ordine delle cose ribaltando uno svantaggio ampiamente in doppia cifra con un quarto quarto decisivo. Quindi, al netto di una barba diventata un po’ più bianca dallo spavento di King James, di qualche protesta di Bogdan Bogdanovic su cui ieri gli arbitri hanno autorizzazione qualche contatto di troppo e di un regolamento FIBA che ha permesso agli Stati Uniti d’America di realizzare sei punti in una singola azione (tripla di Durant e fallo su Davis che in NBA sarebbe valso un tiro libero aggiuntivo e non una rimessa che portato alla tripla di Booker), Francia e Stati Uniti si contenderanno l’oro olimpico 2024.
Il fatto di essere andati così vicini alla sconfitta mi ha fatto ripensare a quante volte gli Stai Uniti siano stati battuti alle Olimpiadi e se torniamo a ritroso nel tempo, l’ultima è stata la Generacion Dorada guidata da Manu Ginobili a negare l’oro a Team USA. Era il 2004 e a ospitare le Olimpiadi era la Grecia, culla dei giochi nati nella sacra Olimpia in onore degli Dei. Prima ancora della Albiceleste ci aveva pensato l’URSS a sgambettare gli Stati Uniti. Seoul 1988, Jamsil Students’ Gymnasium, il colonnello Gomelsky e Arvydas Sabonis. Gli universitari americani capitanati dall’Ammiraglio Robinson, arrivati in Sud Corea straconvinti di vincere a mani basse l’oro, assaporano il gusto amaro della sconfitta imponendo ai vertici del Basket Statunitense, ottenuto il via libera per far gareggiare i professionisti ai giochi, di allestire la squadra più forte mai vista: il Dream Team di Barcellona 1972. Scorrendo l’albo d’oro dei Giochi Olimpici si legge vicino a Mosca 1980 il nome della Jugoslavia, capace di vincere il suo primo e unico titolo a cinque cerchi nel Basket in finale contro gli azzurri guidati da Sandro Gamba, se però si approfondisce la storia di quelle Olimpiadi si scopre che gli Stati Uniti in Unione Sovietica non si presentarono boicottando i giochi organizzati a Mosca, piacere restituito quattro anni dopo dai sovietici in quel di Los Angeles.
Facciamo per un attimo un bel salto indietro a andiamo nel 1904. Il Professor Naismith, dopo aver ottenuto il consenso e il favore del presidente Theodore Roosevelt , aveva utilizzato la vetrina dei giochi olimpici di Saint Louis per mettere in mostra la sua invenzione del 1891: il basket. La prima apparizione a livello planetario del gioco fu un enorme successo ma il CIO decise di riconoscere lo sport della palla a spicchi come sport olimpico solo nel 1936. A Berlino, fra una medaglia e un'altra vinta da Jesse Owens, di fronte al Fuhrer che da lì a breve scatenerà un putiferio mondiale, ripreso dalle telecamere di Leni Riefenstahl capace di produrre il primo vero documentario olimpico, il Basket fa il suo esordio con la prima palla a due alzata proprio da James Naismith. Di certo non era il Basket che conosciamo oggi anche perché venne fatto disputare all’esterno su campi da tennis riadattati. E se avesse piovuto? Ecco, chiedetelo agli atleti di Stati Uniti e Canada che giocarono la finale sotto un diluvio dove l’impresa principale non fu tanto far canestro quanto far palleggiare la palla in mezzo al fango. Quella prima finale olimpica si concluse con la vittoria a Stelle e Strisce per 19 a 8 aprendo una serie di partite, passando da Berlino, Londra, Helsinki, Melbourne, Roma, Tokio e Città del Messico, arrivata nuovamente in Germania, a Monaco a 63 vittore e 0 sconfitte. È l’Olimpiade del Settembre Nero, durante la quale un gruppo di terroristi palestinesi irrompe nel villaggio olimpico e uccide 11 atleti israeliani e un poliziotto tedesco. A contendersi la finale ci sono ancora gli Stati Uniti e gli avversari sono i sovietici. Il clima poco disteso della Guerra Fredda si trasferisce per una sera sul terreno di gioco e se la decisone di mettere mano alle armi sarebbe dipesa dagli accadimenti sportivi di quella sera siamo certi che sui libri di storia le guerre mondiali da raccontare sarebbero tre e non due.
I protagonisti di quella serata furono principalmente 3: Doug Collins, Aleksandr Belov e il cronometrista della partita il cui nome, quando ve lo rivelerò, avrete già sentito da qualche parte se siete anche appassionati calcio. Le due squadre erano arrivate alla partita finale senza difficoltà: da un lato gli americani, privi di stelle vere e proprie dopo la rinuncia di Bill Walton , erano guidato da Doug Collins mentre la compagine sovetica aveva in Sergey Belov il punto di forza. La partita si disputò il nove settembre alla Rudi-Sedlmayer-Halle di Monaco. I sovietici, fatti passare per dilettanti e soldati nonostante disputassero da anni competizioni continentali e intercontinentali a livello professionistico, iniziarono la partita facendo valere la maggiore esperienza contro una versione universitaria degli USA tra le meno talentuose presentatesi ai Giochi. Il primo tempo si concluse con l’URSS in vantaggi di 5 punti, vantaggio che si espanse a dieci punti a 10 minuti da termine. Per gli Stati Uniti si prospettava quella che sarebbe stata la prima sconfitta ai Giochi Olimpici e nessuno dei ragazzi a stelle strisce voleva entrare a far parte della storia dal lato sbagliato iniziando così una rimonta che li portò a meno uno a 38 secondi dal termine. Fu proprio Doug Collins a suonare la carica e con tre secondi sul cronometro, rubando palla a Aleksandr Belov si involò verso canestro ottenendo due liberi. Dopo un primo tiro realizzato senza problemi, al momento del secondo libero suona improvvisamente la sirena. Tutti rimangono sbalorditi ma Doug Collins non perde la concentrazione e segna pure il secondo libero. Usa avanti di un punto. Quello che succederà dopo entrerà di diritto nella storia degli eventi del gioco. Con la pala giocabile con le regole del tempo il Coach russo Kondrashin chiede un time-out che non gli sarebbe spettato e avvicinandosi al tavolo dei giudici intralcia il gioco inducendo gli arbitri a fermare il cronometro a un secondo dal termine. La protesta dei russi convinti di aver chiesto il time-out prima della realizzazione dl secondo tiro libero induce il segretario della Fiba, il britannico Renato William Jones, a intervenire e rimettere tre secondi sul cronometro. Nel frattempo, senza che nessuno se ne accorga Kondrashin effettua una sostituzione che non sarebbe stata legale inserendo Ivan Jadeska per le sue qualità di passatore. L’obiettivo è quello di fare una rimessa lunga partendo dalle mani sicure di quest’ultimo. Il gioco riprende, o meglio, cerca di riprendere ma gli americani disturbano la rimessa: il lancio lungo è impedito dalla difesa quindi Jadeska opta per un passaggio breve, ma ancor prima che la palla arrivi nelle mani del ricevitore la sirena suona ancora e i tifosi statunitensi si riversano in campo a festeggiare la vittoria con gli atleti. Ci volle tutta la pazienza olimpica per sgomberare il campo e permettere al gioco di riprendere e questa fu la ripresa decisiva. Il lancio lungo programmato da Kondrashin partì dalle mani di Jadeska e raggiunse Aleksandr Belov dopo aver scavalcato due imbranati difensori statunitensi. Canestro, suono, questo si definitivo, della sirena e oro all’URSS. Inutili furono le proteste a stelle e strisce così come invano fu il tentativo di ricorso presentato dal presidente del comitato olimpio statunitense. Quello del 1972 passò quindi alla storia come il primo torneo olimpico vinto da una squadra diversa dagli USA. Ma i te protagonisti principali di quella serata come proseguirono la loro carriera? Doug Collins ebbe fortuna in NBA come giocatore con la maglia di Philadelphia e poi come coach di Bulls, Pistons, Wizards e dei Sixers targati “Trust the Pocess”. Tutt’altro che fortunato fu Aleksandr Belov, prima arrestato per presunto contrabbando di jeans frimati, indovinate un po’, made in USA e stroncato a 27 anni da un angiosarcoma. Il terzo lo ricordate? Il cronometrista di quella gara! Beh dietro al tavolo ad azionare e riposizionare più volte il cronometro in quella serata c’era Joseph Blatter, colui che, a ventisei anni da quel titolo olimpico sovietico diventerà presidente della Fifa. Ora non so come andrà la finale di questa Olimpiade, ma per battere il pathos, l’imprevedibilità, la sorpresa della finale del 1972, Usa e Francia dovranno impegnarsi non poco.
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Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. E da pochi giorni ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro.