Crollo Sixers nel finale: Chicago piazza il 10-0 e ribalta la serata

Crollo Sixers nel finale: Chicago piazza il 10-0 e ribalta la serata
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Sulla carta sarebbe dovuta essere la serata giusta per mandare un messaggio alla Eastern Conference: Philadelphia si presenta a Chicago praticamente al completo, con Joel Embiid, Tyrese Maxey e Paul George tutti in quintetto, e l’inizio sembra confermare il copione ideale. VJ Edgecombe ruba un pallone a Josh Giddey e va a schiacciare in contropiede, Dominick Barlow punisce subito dopo un’altra palla persa, e in un attimo il tabellone recita 13-2 Sixers. È un avvio che profuma di dominio, ma i Bulls non si scompongono, limitano gli errori, muovono bene la palla e sfruttano ogni fallo e ogni ritardo difensivo per prendersi tiri aperti: chiudono il primo quarto avanti 30-28, tirando col 55% dal campo e 5/9 dall’arco, mentre attorno a un Embiid dominante in post basso contro Zach Collins il resto dei Sixers affonda in un desolante 27% al tiro.

Nel secondo periodo Chicago spinge ancora più forte. Ayo Dosunmu si scatena in attacco, attaccando il ferro e colpendo anche dalla media, mentre Matas Buzelis si trasforma in una calamita difensiva che stoppa tutto quello che passa nei suoi paraggi. I Bulls toccano anche l’11-0 di margine sul 41-30, cavalcando la fluidità offensiva e il ritmo che i Sixers non riescono più a controllare. A tenere a galla Philly ci pensa Jared McCain, che con qualche layup ridà un minimo di vita all’attacco, ma dall’arco è notte fonda: undici triple sbagliate consecutivamente, che rischiano di far scivolare definitivamente la gara dalla parte di Chicago. Il rientro di Embiid però cambia di nuovo lo spartito: il lungo camerunense spezza finalmente la maledizione dalla distanza, Maxey trova corridoi di penetrazione più chiari e la difesa si ricompatta. Con Embiid lasciato a presidiare l’area invece che incollato al lungo avversario, i Sixers tengono i Bulls a 19 punti nel quarto e arrivano all’intervallo avanti 42-39, grazie al binario sicuro del duo MVP–Maxey.

La ripresa sembra il preludio alla fuga definitiva di Philadelphia. Embiid continua a martellare da ogni zona del campo, firmando quella che è probabilmente la sua miglior serata stagionale per continuità e pericolosità dall’arco, mentre Maxey rimane la scintilla che accende ogni possesso. VJ Edgecombe, fin lì silenzioso in attacco a difesa schierata, trova finalmente un paio di conclusioni solide vicino al ferro e toglie pressione ai compagni.
Il momento chiave del terzo periodo arriva quando anche Paul George si iscrive alla partita: prima tripla a bersaglio, poi un’altra nella stessa frazione, e il vantaggio Sixers tocca la doppia cifra sul 67-57. Solo che i problemi difensivi non se ne sono mai davvero andati: Kevin Huerter punisce ogni esitazione con un tiro pesante, Isaac Okoro lo imita subito dopo e in un attimo i Bulls rispondono con un 8-0 che ricuce tutto. Due bombe consecutive di George tengono Philly avanti di quattro punti all’ingresso nel quarto periodo (85-81).

Il quarto periodo si apre nel segno di Paul George, che colpisce dall'angolo e allarga di nuovo il margine Sixers. Incapace di amministrare, invece l’attacco di Philadelphia si spegne di colpo: più di tre minuti senza un canestro dal campo, solo qualche viaggio in lunetta a tenere il punteggio in movimento. Dopo il timeout, i Sixers tornano ad aggredire il ferro e a cercare contatti, ma dall’altra parte subiscono lo stesso trattamento: Nikola Vucevic punisce la drop coverage in cui Embiid sembra soffrire sempre di più, e ogni rimbalzo vagante va a finire nelle mani dei Bulls. La fotografia perfetta del crollo arriva con l’azione che cambia il match: Jalen Smith posterizza Embiid per il 102-101. Da lì in poi, è solo Chicago: i Bulls firmano un 10-0 negli ultimi due minuti, mentre i Sixers vedono Maxey farsi stoppare al ferro da Vucevic e concedono l’11° e 12° rimbalzo offensivo della loro partita, trasformato in un layup facile di Tre Jones che chiude i conti. Il 108-102 finale racconta di una squadra, Chicago, che ha saputo restare lucida fino alla fine, e di un’altra, Philadelphia, che pur al completo si è sciolta proprio nel momento in cui serviva più solidità.