Il prof Aleksandar “Aco” Nikolic: No, non siamo nati per soffrire"
(di FRANCESCO RIVANO). “Ti procurerai il pane con il sudore del tuo volto.” Come a dire: se vuoi mangiare devi lavorare. Vista così, con quell’affermazione che proviene dalla notte dei tempi raccontati dalla Bibbia nel libro della Genesi, sembra che la definizione di lavoro possa essere riassunta da un semplice vocabolo: punizione. E in effetti la parola latina labor aveva come significato pena, sforzo, fatica. Pensate solo di abbinare alla parola lavoro l’aggettivo “forzati”: per lavori forzati erano e sono ancora intese, quelle faccende faticose non spontanee, a volte al limite della sopportazione umana, a cui erano sottoposti coloro che erano stati resi schiavi o condannati in quanto colpevoli di qualche reato. Oggi si parla più comunemente di “lavoro socialmente utile”, ma pur sempre punitivo, al fine di rieducare chi si è macchiato di una colpa. Eppure, per la maggior parte degli abitanti di questo pianeta, il lavoro occupa in termini di tempo una parte consistente della vita. Da qui si potrebbe dedurre che siamo nati quindi per soffrire, che siamo tutti a credito con Eva dopo il fatidico morso alla succosa mela che ci ha costretto a “procurarci il pane con il sudore della fronte.” Ma non si parlava di Basket in questa pagina? vi chiederete. “Si” vi rispondo io, ma se non conosciamo i personaggi, le loro idee, i loro dettami, le loro storie e soprattutto quello in cui hanno sempre creduto per far diventare grande il Basket, parlare di questo splendido sport diventa come non parlare affatto.
“Io credo solo nel lavoro”. La voce è graffiata, come graffiate sono le corde vocali usurate dal fumo di sigaretta al quale sono state sottoposte per anni, sempre sullo stesso tono, senza accelerazioni o sbalzi di volume, cadenzata, quasi melodica e riconducibile alla cultura mitteleuropea tipica della terra dei Balcani. È questa la massima in cui mi sono imbattuto girovagando fra libri, articoli e siti internet alla ricerca di qualche storia da raccontare. Finché non esce fuori un’intervista, guarda caso realizzata da chi a distanza di anni, è diventata per me una persona cara. A pronunciare questa frase non è stato un personaggio qualsiasi, a pronunciare questa frase è stato uno dei, anzi “il” personaggio più influente ad aver onorato il legno di una panchina europea con il suo fondoschiena. Nato a cavallo tra le due guerre mondiali a Sarajevo, , Aleksandar si trasferisce molto presto a Belgrado dove, grazie alla sua maturità precoce e alle facoltà del padre Djordje, sfama tutta la voglia di apprendimento di un cervello mai sazio. Studiare non è un dovere, anzi è un piacere e l’avanzare degli studi in medicina e legge sono una logica conseguenza della fame di conoscere che pervade Aleksandar. Il ragazzo è ingordo nella sua voglia di apprendere e quando scopre il Basket diventa come Pantagruel seduto a banchetto. Gioca e studia ed è bravo e più si rende conto di essere bravo più cerca di capire come migliorare per se e per i compagni. Gioca per il Partizan, per la Stella Rossa per il BSK e fa parte anche della nazionale jugoslava. Da giocatore analizza qualsiasi aspetto del gioco e la logica conseguenza al suo ritiro è l’inizio della carriera dell’allenatore più importante nella storia della pallacanestro perlomeno europea.
Da qui in poi un articolo comune si dedicherebbe a elencare i successi, le vittorie, i titoli con l’una o l’altra squadra allenata dal nostro Aleksandar. Ma non è questo il taglio che si vuol dare a un racconto del genere, perché se l’obiettivo è raccontare la storia di un personaggio straordinario ci si deve affidare alla straordinarietà degli eventi che lo hanno reso tale. E credetemi che nonostante si stia parlando di Aleksandar “Aco” Nikolic i risultati sono l’ultima cosa che lo hanno reso immortale. Il Professore, così veniva soprannominato colui che all’Università ha insegnato per davvero, era un hombre vertical, un uomo tutto d’un pezzo incapace di farsi scalfire da agenti esterni e in grado di mantenere integra la sua rettitudine morale in ogni circostanza. Veniva definito l’Orso Bosniaco, ma chi l’ha conosciuto intimamente in tutto lo ha identificato tranne che in un orso. A discapito di un aspetto all’apparenza burbero, nell’animo del Professore si celava un uomo gentile, disponibile, aperto a discutere e a mettere in discussione ogni pensiero. Aveva il grande pregio di cercare il dettaglio nei dettagli dei dettagli in modo da trasformare qualsiasi evento casuale in un qualcosa di noto, di già visto. E la sua grande capacità era quella di trasferire questa visione ai suoi giocatori, in modo da permetter loro di saper gestire ogni momento senza difficoltà. Se la sublimazione è il passaggio dallo stato solido allo stato aeriforme, la qualità del Professore era il passaggio inverso, il brinamento e cioè il passaggio dallo stato aeriforme dei suoi pensieri allo stato solido del gioco delle sue squadre. Vedeva tutto, capiva tutto e con largo anticipo. Andatevi a riprendere il racconto delle Final Four di Coppa Campioni a Monaco di Baviera nel 1989 fatto da Dino Radja. Dino, stella della Jugoplastika, in semifinale medita vendetta dopo aver subito un colpo proibito, sfuggito a tutti meno che a uno nel palazzetto. “Non picchiarlo.” Bastano queste due paroline per riportare Dino sulla retta via e a permettergli di vincere coppa e premio di MVP delle Final Four teutoniche. O se avete la fortuna di parlare con qualcuno che lo ha conosciuto, fatevi raccontare come era sempre in grado di stupire. “Oggi perdiamo”: così si rivolse al cronista a seguito della sua squadra quando intuì dal riscaldamento il risultato di una gara fondamentale della sua Scavolini a Brescia. Ovviamente 77-64 per i padroni di casa. Non era un veggente o un fattucchiere, era capace di individuare le situazioni perché ogni situazione era già stata vivisezionata nelle esperienze precedenti e quelle nuove venivano a loro volta vivisezionate per renderle leggibili nelle esperienze future. Era unico e rispettato da tutti nel giro della pallacanestro: è chiaro che il 99% deIle persone che leggeranno questo articolo non ne avranno l’opportunità, ma se mai vi capitasse di parlare con Zelimir Obradovic chiedetegli chi sia stato il suo maestro, o a Boscia Tanjevic a chi chiedeva i consigli nei momenti di dubbio, o chi avrebbe voluto al suo fianco Bozidar Maljkovic per gestire i gioielli spalatini: senza ombra di dubbio il “padre della pallacanestro jugoslava”.
Le sigarette HB erano le compagne fedeli e il lavoro la sua stella polare. Quel lavoro che non doveva andare mai sprecato perché era un bene prezioso, da preservare, come per il contadino lo è il latte appena munto dalla mucca. Avrete sentito parlare della “Mucca di Bosnia” e del suo calcio al secchio del latte. La sua etica del lavoro era trasferita a ogni suo giocatore in modo tale che tutti si sacrificassero per la causa comune: la squadra e i suoi successi. Ed eccoci tornati al punto di partenza: siamo quindi nati per lavorare e quindi per soffrire? Se potesse rispondere il Professor Nikolic, con la sua flemma e con il suo ritmo sincopato, ci risponderebbe che no, non siamo nati per soffrire. Con la sua voce inconfondibile ci direbbe che siamo nati per lavorare al fine di trovare, grazie al lavoro, la massima espressione della felicità. E questo concetto non lo intenderebbe applicato solo al Basket e nemmeno solo allo sport tutto, ma lo ricondurrebbe alla vita quotidiana di ogni singolo individuo perché “il lavoro nobilita l’uomo”, “il lavoro paga sempre” e prima lo capiamo come ha fatto Aleksandar, nato a Sarajevo e morto a Belgrado quasi un quarto di secolo fa, prima riusciremo a trasformare i nostri sacrifici in gioie e successi.
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Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. E da pochi mesi ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro