LBF A1 Techfind: Gianni Recupido parla dopo la separazione da Ragusa

L'allenatore siciliano e la società della Passalacqua si sono lasciati dopo due semifinali, due finali ed una Coppa Italia
31.05.2022 00:16 di  Eduardo Lubrano  Twitter:    vedi letture
LBF A1 Techfind: Gianni Recupido parla dopo la separazione da Ragusa

Ventisei anni di seguito in panchina senza una pausa, con le estati libere sì dall’impegno quotidiano ma libere anche di pensare ogni giorno a chi prendere o a come impostare il lavoro e poi d’un tratto… Il tempo che scorre inesorabile senza che nessun pensiero professionale debba attraversarti la testa, nessuna giocatrice da chiamare, nessuno schema di gioco nuovo da studiare o da adattare. “E’ così che sta andando – dice a Pianeta Basket Gianni Recupido, 52 anni allenatore professionista di pallacanestro – dopo 26 anni in cui sono stato su tutte le panchine della mia città, Ragusa, e gli ultimi 9 su quella della formazione della Passalacqua femminile, mi trovo ad avere un sacco di tempo per pensare a me, alla mia famiglia ed a poter fare tutte quelle cose che prima non potevo. Per ora va benissimo così, ma so che il campo mi mancherà”.

Che è successo con la Passalacqua, perché la fine di questo rapporto così lungo?

Ecco già la lunghezza può essere una prima spiegazione: forse ci siamo dati tutto quello che potevamo io alla società e la società a me. Quindi era necessario che loro ripartissero da una persona nuova ed io da un’esperienza diversa. Gli ultimi due anni poi sono stati molto stressanti e difficili nonostante in questa stagione sul campo abbiamo fatto meglio della precedente. Mancava un anno alla fine di un progetto triennale ma era arrivato il momento di dirsi arrivederci”.

C’è qualcosa che non ha fatto lei e che poteva fare?

Forse in certe situazioni ed in certi momenti non avrei dovuto accettare certi compromessi fuori dal campo. In campo credo che nella stagione scorsa avrei potuto e dovuto chiedere alle giocatrici qualcosa in più. E di diverso. Quest’anno sinceramente no: abbiamo fatto anche oltre il possibile, allenandoci in quattro, andando in campo in cinque – per cui sono maturati certi risultati criticati un po' frettolosamente – ed alla fine abbiamo rimesso in piedi la stagione col capolavoro della vittoria in gara 1 di semifinale a Schio. Di più proprio non ne avevamo”.

E la società secondo lei poteva fare qualcosa di diverso?

Quello che secondo me la società avrebbe dovuto fare in modo diverso è un argomento che ho affrontato molte volte insieme alla società stessa, sia nel corso degli anni che nel momento in cui abbiamo deciso di interrompere il nostro percorso insieme. Il rapporto che abbiamo avuto e che abbiamo ancora ci ha sempre consentito di parlare con sincerità e franchezza, quindi ne abbiamo discusso molte volte tra noi e non sarebbe corretto renderlo pubblico. L'amore che provo per lo sport unito a tutte le nostre discussioni però mi ha dato modo di articolare dei pensieri che mi piacerebbe condividere. Spesso in Italia in ambito sportivo si sente parlare di progetto. In tutti gli sport, non solo nel basket femminile. Molte volte i vari ambienti abbracciano solo i lati positivi e gli aspetti nobili del fatto di avviare un progetto, senza pensare alle difficoltà e ai rischi che questo può portare e che ovviamente condizionano il risultato finale, soprattutto in un periodo breve. In Italia manca la pazienza per prendersi quei rischi che a lungo termine possono dare risultati, a breve termine invece sono quello che sono: rischi. Non valutare i rischi porta a non avere modo di costruire l'ambiente adeguato a far germogliare il progetto. Penso al Real Madrid che sabato ha alzato la quattordicesima Champions League. Tutti esaltano i giovani, i vari Vinicius, Camavinga, Rodrygo, che hanno avuto ruoli importanti e hanno fatto la differenza. Nei momenti decisivi erano pronti. Erano pronti perchè hanno avuto vicino chi glielo ha insegnato, ovvero dei modelli di riferimento mostruosi. Modric, Benzema, Kroos. Anche Marcelo, che stava sempre seduto in panchina. Quelli erano rischi che sono diventati risultati clamorosi”.

Come è cambiato il basket femminile ai suoi occhi negli ultimi 9 anni?

Quando ho iniziato io era un basket molto tattico, molto speculativo, teso a giocare sugli errori dell’avversaria di turno, con un gioco molto controllato. Oggi vedo molto più atletismo, più velocità, ci sono più squadre che corrono e raddoppiano sui P&R. Forse ci sono meno giocatrici capaci di leggere il gioco rispetto a prima e vorrei dire con un certo orgoglio che noi a Ragusa siamo state fra le prime squadre se non la prima ad impostare il gioco sul contropiede, la transizione, il raddoppio. Le giocatrici sono cambiate, sono più atletiche hanno modelli diversi,.

La WNBA è sempre più presente nell’immaginario delle nostre ragazze. Tutto questo è bello ma non sempre. Credo che il nostro movimento debba crescere soprattutto nella capacità di coinvolgere tutte le ragazzine nel gioco e non solo in quelle più brave. Costruire in canestro insieme è secondo me, più bello che assistere allo “show” di una o due. Il nostro è un mondo piccolo ma meraviglioso. Però deve liberarsi di troppi personalismi per cui invece di pensare alla bellezza del giardino della pallacanestro femminile, si guarda solo il proprio appezzamento. Troppi veleni e poca collaborazione. Giusta la rivalità ma quella che fa crescere”.

Quando la rivediamo seduto su una panchina?

Al momento non lo so. Aspetto che mi arrivi un’idea che sappia di progetto perché a me è così che piace lavorare. Non che quanto mi sia stato offerto fino ad oggi non fosse cosa seria ed interessante anzi, ma io sono alla ricerca di qualcosa di diverso. Per ora posso aspettare e godermi il mare. Quando il pallone tornerà a rimbalzare in palestra vedremo!”