Reyer Venezia, Francesco Cuzzolin presentato alla stampa al Taliercio

Il nuovo Head of Performance delle prime squadre dell'Umana Reyer, Francesco Cuzzolin, è stato presentato alla stampa al Palasport Taliercio. Di seguito le sue dichiarazioni.
Benvenuto. Ci racconta le sue emozioni per questa nuova avventura e le sensazioni di questo inizio di stagione?
"Innanzitutto, tengo a ringraziare la Proprietà, il Presidente Casarin e tutta l'Umana Reyer per la grande opportunità che mi è stata concessa. Sono qui dal 1° luglio e sono entrato in punta di piedi, cercando di capire dove fossi arrivato. L'idea che avevo dall'esterno è stata pienamente confermata: sono entrato in un club di altissimo livello per come è strutturato, per la mentalità e per la visione. Per me essere qui oggi è un piacere, un onore e una grande responsabilità.
Le sensazioni sono buone. È un inizio di stagione con due squadre rinnovate, ma che poggiano su una base solida come lo staff tecnico confermato. Stiamo lavorando sodo per mettere ogni giorno qualcosa di nuovo all'interno del gruppo, per far sì che si possa arrivare pronti alla prima partita ufficiale".
Come è organizzato il suo lavoro? Cosa significa "Head of Performance"?
"Significa aumentare la qualità della comunicazione orizzontale all'interno dell'organizzazione. Tradizionalmente, le competenze sono verticali: il medico fa il medico, il fisioterapista fa il suo lavoro, e così via. Un 'performance team' crea delle procedure per condividere le informazioni, in modo che ogni componente dello staff possa utilizzarle al meglio.
In pratica, tracciamo quotidianamente tutto ciò che succede intorno alla squadra: come stanno i giocatori, cosa fanno e come lo fanno. Queste informazioni diventano un report di indicazioni che diamo agli allenatori per gestire e ottimizzare gli allenamenti. Lo stesso approccio, applicato alla salute e al recupero, ci permette di creare strategie preventive e di gestire al meglio il rientro da un infortunio. La tecnologia è uno strumento utile, ma la differenza la fanno le persone e la loro volontà di condividere. È un approccio manageriale, da azienda, applicato a una società sportiva, dove tutte le componenti sono importantissime".
Quali sono le criticità e gli obiettivi a breve e lungo termine?
"Il primo periodo di lavoro è servito a filtrare le necessità e a stabilire le priorità, parlando con i dirigenti per capire che tipo di investimenti fare. L'allenamento che si vede in campo è solo la parte finale di un processo enorme. Il nostro obiettivo è creare una struttura organizzativa che ci dia sicurezza e che possa riprodursi con efficacia per tutti i nove mesi della stagione, che è un ciclo continuo di partite, viaggi, recuperi e allenamenti. Avere le informazioni giuste e sapere come utilizzarle è fondamentale.
In questo, sono stato facilitato dai due capo allenatori, che conoscevo già. Sono professionisti di grande esperienza internazionale e condividono questa visione. Per essere solo all'inizio, sono veramente soddisfatto del lavoro fatto. Abbiamo creato una struttura che ci deve dare certezza per affrontare gli alti e i bassi che una stagione inevitabilmente presenta".
Questo processo di innovazione arriverà mai "a regime"? E quali sono le differenze tra settore maschile e femminile?
"A regime non si arriva mai, perché è un processo continuo di analisi e innovazione. Il mio lavoro è sedimentare delle procedure, analizzarle ed essere sempre pronto a cambiarle se esce una tecnologia nuova o un nuovo metodo di analisi.
Maschile e femminile sono mondi diversi, non si può fare un 'copia e incolla'. Le abitudini di allenamento, la gestione dei carichi, la preparazione sono differenti. Per esempio, l'alta intensità che puoi raggiungere con una squadra maschile in termini di valori assoluti non puoi aspettartela da una squadra femminile. D'altra parte, la resilienza che ti dà una squadra femminile è difficile da trovare in una maschile. La nostra proposta deve quindi adattarsi alle caratteristiche peculiari di ogni gruppo, per farli rendere al massimo del loro potenziale.
L'errore più grande è pensare che qualcosa che ha funzionato altrove possa funzionare allo stesso modo a casa tua. Siamo partiti con grandissima umiltà, coinvolgendo anche gli atleti e le atlete. Ho presentato il percorso anche a loro, perché devono essere partecipi. Una delle grandi novità nella preparazione moderna è rendersi conto che noi stiamo con i giocatori poche ore al giorno; per il resto del tempo, la qualità di come dormono, di come si nutrono, del loro stato psicologico, sono tutte informazioni di cui abbiamo bisogno. Lavoriamo con macchine biologiche, non meccaniche. Per questo serve la massima sincerità da parte loro quando ci forniscono i dati sul loro stato. È un grande patto di fiducia e collaborazione che coinvolge tutti".