Omaggio a Mike Mitchell, il 'professore' che ha insegnato l'amore con i canestri

Ci sono notizie che si sa di dover dare prima o poi, anche se non si vorrebbe. Speri e pensi che queste notizie arrivino il più tardi possibile perché vanno ad intaccare emozioni, ricordi, affetti fin negli angoli più oscuri del corpo e della mente, dove neanche i più temerari osano arrivare, La nottizia della morte di Mike Mitchel, arrivata nel priimo pomeriggio di ieri, è una di queste. Mike Mitchell nato ad Atlanta il 1° Gennaio del 1956, un uomo che attraverso il basket ha dato amore e si è fatto amare, famigliari, compagni di squadra, avversari, o semplici tifosi, tutti uniti da un profondo e sentito dolore per un campione a 360 gradi. Ma si sa che quando una persona che se ne va, lascia sempre a chi resta tante cose da cui trarre esperienze e preziosi insegnamenti. Alle tante battaglie fatte sul parquet, ha unito quella sociale contro la droga, che in passato lo aveva attirato, per poi dirle “no grazie, il basket è meglio”. Questo ha lasciato Mike. Prima i Cleveland Cavaliers, poi i San Antonio con cui gioca 7 stagioni diventandone uno dei miglior atleti e conquistandosi la chiamata All Star Game NBA del 1981. Questo ha lasciato Mike. A 32 anni l’approdo in Europa, più precisamente in Italia in quel di Brescia, poi Napoli, poi via verso Tel Aviv a vincere il titolo israeliano con il Maccabi, per poi fare ritorno in Italia, in quella Reggio Emilia che di cui è diventato il simbolo indiscusso, il leader, il professore agli inizi degli anni ’90 fino al momento del ritiro al termine della stagione 1998/1999. Con gli emiliani Mike ha seminato e raccolto due promozioni dalla Serie A2 alla Serie A1, ha incantato una tifoseria intera con i suoi movimenti, i suoi tiri morbidi ed il suo senso della posizione anche quando era spalle a canestro. Campione nelle vittorie cosi come nelle sconfitte, dove ha saputo più volte riconoscere il valore degli avversari affrontati. Questo ha lasciato Mike. Mai sopra le righe, pronto ad infondere coraggio e grinta ai compagni, pronto a sacrificare un fisico che invecchiava solo all’anagrafe, ma che una volta sul parquet sembrava potesse fermare il tempo. Lo sanno bene le avversarie di quella CFM Reggio Emilia che nel 1998 arrivò ad un passo dalla finale scudetto eliminando prima Milano e poi la Benetton di Williams e Nicolai. Un’impresa riuscita grazie soprattutto a quel canestro sulla sirena di Gara2 che fece impazzire il PalaBigi, un canestro capace di regalare speranze ad una provinciale contro l’allora big delle provinciali. Dopo quella partita i medici lo obbligano a fermarsi per a causa di un infortunio. Arriva cosi l’ultima stagione quella seguente con l’uscita prematura ai playoff, con la consapevolezza di aver regalato un posto in Europa alla piccola Reggio. Il 1° Febbraio 2000 Reggio Emilia saluta la sua stella dando vita al Mitchell Day, una partita di beneficenza con standing ovation finale di 5 minuti e la commozione di migliaia di sportivi. Al termine di quella partita incrociandolo ebbi modo di dirgli “Non avrai intenzione di smettere?!” La sua risposta? Una fragorosa risata. Una risata non si potrà più vedere ne sentire, ma che Mike ha lasciato a tutti quelli che come lui amano e continueranno ad amare il gioco del basket, quello fatto di sogni di speranze di sogni e di divertimento senza parlare troppo di soldi o altro. Questo ha lasciato Mike, facendo quasi pensare di essere uno di quei super eroi dei cartoni animati che sono in grado di superare ogni avversità. In parte ha provato a sconfiggere il suo male, ma il suo avversario dopo aver perso il primo tempo, si è ripresentato in forma invincibile. Mike avrà detto “No cosi non vale” Ciao professore, la tua cattedra al momento rimarrà vuota. Ai grandi campioni si sa non piace barare e cosi ha lasciato che il male vincesse la partita, ma Mike aveva già vinto tempo prima….nel cuore di tutti.