Bob Douglas sdoganò il basket afroamericano prima degli Harlem Globetrotters

Bob Douglas sdoganò il basket afroamericano prima degli Harlem Globetrotters

(di FRANCESCO RIVANO). Spesso, non so se tanto volentieri, avrete sentito parlare tra i banchi di scuola di Rinascimento, quel periodo storico fra la metà del quindicesimo e la fine del sedicesimo secolo che tende a contrapporre la luminosità culturale all’opprimente oscurità del mondo barbaro medievale. Ovvio che non voglia farvi la lezione di Italiano su pianetabasket.com, ma provate a concepire il concetto di esaltazione del piacere in contrasto con la repressione dei diritti nello sport degli anni ’20. Siamo negli Stati Uniti d’America e se la fine della Prima Guerra mondiale pone la Nazione a stelle e strisce in una posizione di vantaggio economico nei confronti delle grandi potenze europee obbligate e leccarsi le ferite dopo il conflitto bellico, dall’altro lato la paura rossa dell’avvento del comunismo nella terra scoperta da Colombo impone ai governi repubblicani di applicare misure repressive. Si, sono gli anni ruggenti del boom economico ma sono anche gli anni del razzismo esasperato, della negazione dei diritti degli operai e del proibizionismo. La fine della guerra di secessione aveva sancito l’abolizione della schiavitù e di conseguenza garantito sulla carta la libertà e la equiparazione di ogni uomo appartenente a un’unica nazione unita. In realtà le parole pronunciate da Lincoln a Gettysburg volarono via come foglie d’autunno spazzate dal primo refolo di vento e l’odio razziale mantenne il suo essere e si sviluppò ancora più violentemente con l’avvento del Ku Klux Klan.

“Harlem era la capitale della cultura nera e il fascino esotico che vi si respirava faceva sembrare quel quartiere un enorme bazar nel quale il proibizionismo non trovava terreno fertile. Era un’oasi in grado di dare ristoro a chi andasse alla ricerca di droga, buona musica, alcool e prostitute”

Prendo in prestito questo passo tratto da “Ricordi al canestro”, libro che narra la storia romanzata del Basket dalle sue origini ai giorni nostri, per far capire negli anni del post guerra quale fosse il quartier generale del mondo afroamericano e quale vita si cercasse di vivere al suo interno. Una sorta di zona franca nella quale, al ritmo di Charleston e sulle note jazzate delle Big Band, anche i fratelli neri potevano illuminare il loro cammino fatto di oscurità sociale e repressione perenne. È in questo contesto di rinascimento nero che Bob Douglas, all’inizio degli anni ‘20 da vita ad una squadra passata alla storia del Gioco. Bob non era statunitense di nascita; Bob nasce sotto il sole cocente di Saint Kitts. Se vi chiedete dove sia Saint Kitts sappiate che anche io ero all’oscuro dell’esistenza della piccola isola caraibica finché Kim Collins non vinse l’oro nei 100 metri piani ai mondiali di Saint-Denis nel 2003, titolo che gli valse l’onore di fare da portabandiera del piccolo stato Saint Kitts and Navis ai giochi olimpici di Londra 2012. Ma torniamo a Bob Douglas. In quella Harlem rinascimentale Bob, grande appassionato di Basket, era alla continua ricerca di giovani talenti di colore. Il suo sogno era più che altro un’ossessione, una missione divina. Dedicava giorno e notte al suo grande obiettivo e nel 1922 riuscì a fondare la prima squadra professionistica di basket composta da soli ragazzi di colore: i New York Renaissance. Immaginate cosa potesse suscitare nel pubblico bianco una squadra di soli fratelli neri che entra in un palazzetto sportivo nel 1922. La reticenza dell’opinione pubblica era forte e mal celata, ma Bob e i suoi ragazzi volevano solo giocare a Basket e in realtà ci riuscivano anche bene. Nonostante fossero banditi dalle leghe nazionali i Rens macinavano vittorie su vittorie, attraversando gli Stati Uniti, dal Kansas al Massachusetts, da New York a Chicago facendo valere il loro talento, la loro forza fisica e un livello di spettacolarità del gioco mai visto fino a quel momento nello sport inventato dal Professor Naismith. Molti pensano erroneamente che la prima squadra itinerante di basket composta da afroamericani siano stati i Savoy Big Five diventati poi Harlem Globetrotters. In realtà i Rens e Bob Douglas hanno anticipato Abe Saperstein e i “giramondo” di un lustro diventando l’icona del basket afroamericano. A spasso per gli States, ostracizzati da ristoranti e hotel, costretti a dormire in autobus e a mangiare pasti freddi i Rens venivano  invitati sempre più spesso dalle squadre professionistiche tanto da essere costretti a giocare anche più di una partita al giorno piuttosto di aver l’opportunità di rientrare nella loro base di Harlem. Se i conti dell’epoca non sono errati e non abbiamo nessun dubbio che non lo siano, i Rens detengono un record di 2.500 vittorie a fronte di 539 sconfitte con la gemma, tra le tante della vittoria contro i campioni della NBL, progenitrice dell’attuale NBA, gli Oshkosh All-Star. Provate solo a immaginare il clamore che farebbe oggi la sconfitta dei campioni NBA in carica contro una squadra non appartenente a nessuna lega professionistica.

A Bob Douglas va riconosciuto il coraggio di aver perseguito una strada fin li mai battuta, pericolosa per se e  per i ragazzi, forse anche oltre a quella che era la consapevolezza di Bob stesso, ma il giusto premio a cotanto ardire è stata la possibilità data ai Rens nel 1948 di entrare a far parte della NBL. Paradossalmente quello che sembrava dovesse essere l’inizio di un percorso sportivo a livello professionistico divenne la tomba dei New York Renaissance prima costretti a trasformare il loro nome in Dayton Rens e successivamente a sciogliersi per problemi finanziari, ma l’immortalità dei ragazzi di Bob Douglas è stata garantita dall’introduzione nella Basketball Hall of Fame dei Rens come squadra nel 1963. Nel 1972, nove anni prima della sua morte anche Bob Douglas è stato introdotto nella Naismith Memorial Basktball Hall of Fame, dando il giusto riconoscimento a colui che è ancor oggi insignito del titolo di “The father of black professional basketball”

Sono i grandi gesti a rendere grandi gli uomini e sono i grandi uomini a rendere grande il mondo in cui viviamo e se nel mondo del Basket ci fosse un Paradiso nel quale far arrivare i degni della gloria eterna, un posto per Bob Douglas sono certo che gli sarebbe garantito.

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Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. E da pochi mesi ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro.