«Io rompiscatole, a 45 anni sono sul tetto del mondo del basket»

Il vecchietto rompiscatole - la definizione lo fa sorridere - è salito sul tetto del mondo dei canestri a quasi 46 anni e adesso vuole rimanerci il più possibile. Intanto dal podio e con la medaglia d’oro al collo, tra un palleggio, un ricordo e diversi aneddoti sul mondo della pallacanestro livornese, può togliersi anche qualche sassolino dalla scarpa da gigante: calza il numero 49 e là dentro non ci sono certo problemi di spazio.
~Sì, perché di Tommaso Giannini, classe 1969, due metri e spiccioli, assicuratore di professione e una carriera che ha toccato il suo apice nella stagione 1990/91 nella Tombolini Pallacanetro Livorno in serie A2 con Elvis Rolle e Raffael Addison, si può dire tutto, ma non che non sappia giocare a pallacanestro e che non dica le cose in faccia. Per conferma chiedere ad allenatori e compagni di squadra che hanno avuto a che fare con lui.
Cominciamo dall’esperienza con la nazionale italiana over 45 e dalla vittoria a Zadar, in Croazia...
«È stata una settimana super che si è conclusa nel migliore dei modi con il successo nella Fimba World League, proprio contro la squadra di casa. Ora il sogno è quello di essere convocato per i mondiali che si terranno in estate negli Stati Uniti».
All’indomani della vittoria è andato sulla pagina Facebook della Federazione provinciale della pallacanestro e ha scritto: “C'è chi a Livorno vince ancora in campo internazionale” linkando l’indirizzo che riportava la notizia...
«È stato un modo per segnalare a chi invece ha sempre fatto finta di ignorarmi che cosa fosse successo...».
Facciamo un passo indietro: com’è arrivato a far parte della nazionale italiana master?
«Ogni anno vengono organizzati i campionati italiani over 40 in giro per l'Italia. Tre anni fa ho partecipato con il basket Salaria, una squadra di Roma. E al torneo che si è tenuto a Pesaro arrivammo quarti, mi pare. L'anno seguente ci sono tornato. Così grazie alle buone prestazione sono stato notato dagli allenatori che mi hanno portato agli Europei 2014 dove siamo arrivati terzi. Poi quest’anno è arrivata la convocazione per la World League. Come detto, ora spero di essere convocato per i mondiali di Orlando di quest'estate. Ci saranno 170 squadre e migliaia di giocatori da tutto il mondo che si affronteranno nel parco della Espn».
Leggendo i nomi dei suoi compagni sembra di fare un tuffo negli anni Ottanta e Novanta: Corvo, Silvester Gray, Silvestrin, Capone, Delli Carri, “Lupo” Rossini...
«Nonostante l’età si tratta di giocatori che ancora oggi fanno la differenza nei campionati di serie B e C. Silvestrin, ad esempio, fisicamente è integro, Pino Corvo è un personaggio super che corre come un ragazzino. Le dirò di più: certi giocatori livornesi molto più giovani dovrebbero prendere esempio da questi atleti».
Ci sta dicendo che venire a vedere una vostra partita non vuol dire trovarsi in mezzo a cinquantenni con la pancetta che vivono di ricordi...
«Per far capire l’approccio di questi signori quando sono in campo basta dire due cose: a differenza dei campionati amatori nessuno si permette di giocare a zona e ogni volta che si può si spinge il contropiede. È questione di orgoglio e di mentalità».
Ma come si fa a restare in forma superati gli anta e con centinaia di partite sulla schiena e sulle ginocchia?
«C’è una sola strada: allenarsi tutti i giorni. Ad esempio io che quest’anno mi sto allenando un po’ meno sento la differenza. Ma è la passione che ti spinge a farlo. Così il giorno che se non c'è il palazzetto vai al campino. È vedendo come si allenano questi vecchietti che ti accorgi di come invece le nuove generazioni abbiano molta meno passione per questo sport e siano meno capaci di sacrificarsi. Purtroppo manca l'entusiasmo».
Durante il torneo in Croazia ha avuto l’onore di essere allenato, niente meno che da coach Dan Peterson...
«È stato un vero onore. Nel girone in panchina c’è stato Moses Gambini poi per la semifinale e la finale è arrivato coach Dan Peterson che in teoria dovrebbe seguirci anche ai mondiali».
E com'è essere allenato da un santone del basket?
«È stato un privilegio. Non ha dato direttive tecniche ma ha dato molte motivazioni. In teoria doveva essere una mossa di marketing per dare visibilità alla squadra e al movimento over 40. Invece si è divertito talmente tanto con noi che durante la partita ha chiesto di dirigere la squadra».
Cosa le è rimasto impresso di coach Peterson?
«Durante la partita di semifinale contro la Russia menavano abbastanza. Lui durante una sospensione ci ha detto: “Questa non è una partita ma una battaglia termonucleare”. È stata una frase che ci ha permesso di stringere in difesa».
Questa vittoria è stata la tua più bella soddisfazione sportiva?
«È stata senza altro una bella soddisfazione. Ma forse la più bella in assoluto è stata quella vissuta a 35 anni. Tutti dicevano che ero vecchio, finito. Invece mi ha chiamato la Virtus Bologna».
Quanto il tuo carattere ha inciso sui risultati ottenuti?
«I risultati sono riuscito a raggiungerli lo stesso, sono dovuto andare via da Livorno. Ai miei concittadini non piace sentirsi criticare, anche quando sono nel torto. Per fortuna la mia carriera l'ho fatta fuori da qui a parte alcune parentesi. A Livorno - ripeto - sono tutti un po' presuntuosi e non vogliono essere criticati. Nemmeno se fai il loro bene e quello della squadra un cui giochi. Io da quando ho iniziato a giocare tengo sempre a mente una frase che mi ha detto il grande Paolo Cianfrini: “Per giocare serve umiltà”. Ecco io l’ho sempre tenuta a mente con le persone che ne sanno più di me».
Com'è cambiato il basket in 25 anni?
«I campionati sono diversi, il livello è sceso per colpa anche di alcune regole del cacchio della Federazione. Ma adesso sono tornato a divertirmi con questo movimento nato in Argentina e che adesso si sta allargando».
Non solo basket ma anche beneficenza....
«Siamo testimonial di un progetto di solidarietà che raccoglie fondi per un ospedale oncologico a Kiev e questo ci dà ancora di più soddisfazione».
L’ultima esperienza in una squadra professionista è stata quella di due anni fa alla Libertas in serie C...
«Potevamo andare ai playoff vincendo a Prato invece io e Silvio Gigena siamo rimasti a sedere in panchina e abbiamo perso. Una scelta che certo non ho condiviso, ma si torna al concetto di presunzione ed umiltà».
Avresti voglia di tornare a giocare in un campionato "vero" in una squadra livornese?
«Per gli allenatori che ci sono adesso in giro direi non mi troverei a mio agio»
Anche stavolta passerà per un rompiscatole...
«È una nomea sul mio conto che esiste solo a Livorno dove sono stato sempre definito come uno che crea casino perché dice le cose come stanno. Dalle altre parti è diverso. Sono rimasto in buoni rapporti con tutti: altrove ascoltano, qui no. Io se c'è un problema te lo dico in faccia. A Livorno invece ti fanno il sorrisone e poi ti parlano alle spalle. Ecco perché a 19 anni dopo l'anno di A2 e la fusione sono andato a giocare fuori e non sono mai rientrato fino al 2000».
Nella sua città ha giocato poco?
«Solo per le giovanili, l’anno con la Tombolini e la stagione della promozione dalla B2 alla B1 con la Pl di coach Manrico Vaiani».
A qualcuno peròsi sente di dover dire grazie?
«Certo, a Marco Bonciani che mi ha riportato a giocare quando avevo smesso. A Paolo Cianfrini che mi ha seguito più di tutti. Poi un posto nel mio cuore ce l'hanno anche Vasco Suggi e Manrico Vaiani: un vero perfezionista».