Linsanity, quando Jeremy Lin divenne la stella di New York

01.04.2020 16:31 di  Iacopo De Santis  Twitter:    vedi letture
Linsanity, quando Jeremy Lin divenne la stella di New York
© foto di Jeremy Lin

In una partita di basket, una squadra porta in campo almeno 10 giocatori. In quelle NBA, dove i minuti di gara sono 48, almeno 12. Per forza, quindi, devono esserci giocatori che giocano meno. E spesso sono quelli che più si sentono dire: "continua a allenarti duramente" oppure "arriverà il tuo momento". Poi il momento arriva quando meno te lo aspetti.

Madison Square Garden, New York. I Knicks, 9 vittorie e 15 sconfitte in stagione, si preparano a affrontare i New Jersey Nets. Coach Mike D'Antoni ha fermi ai box Baron Davis e Mike Bibby, mentre Toney Douglas non è al meglio. Tre giocatori, tre play. D'Antoni schiera in quintetto due guardie: Fields e un giovanissimo Shumpert (di fatto play nella stagione da rookie). Poi ci sono Carmelo Anthony, Stoudamire e Chandler.
Il primo quarto dice 20-30 Nets. Per i Knicks, 0 punti dalla panchina. Al 9' D'Antoni è quasi costretto a buttare nella mischia un ragazzo, Jeremy Lin che dal 2006 al 2010 giocò ad Harvard e riuscì a mettere piede nella NBA nel 2011 grazie ai Golden State Warriors. Era l'inizio della Linsanity.

LINSANITY. Lin resta in campo tutti e 12 i minuti del secondo quarto: 3/5 al tiro, 6 punti, 3 assist, 2 rimbalzi, 1 recupero. I Knicks dominano il quarto, 18-26. Nel terzo periodo, altri 7 punti in 8', ma 2/7 al tiro, 0/3 da tre. Mancano 12', 72-70. I Knicks lottano e negli ultimi 12 minuti trovano un parziale di 20-29 che regala loro la vittoria. Di quei 29, nessuno arriva dalle mani di Anthony; 8 di Stoudamire, ma soprattutto 12 di Jeremy Lin, con 2 assist e 5/7 al tiro. Quel giorno il giocatore 23enne chiude con 25 punti a referto.
I grandi appassionati del basket NBA ricorderanno certamente quei giorni. Un ragazzo, minuto, lanciato alla conquista del mondo dei giganti. I Knicks infilarono sette vittorie di fila, guidati da un giocatore che era stato schierato la prima volta quasi per necessità. Nelle sette gare vinte, Lin giocò una media di 37.6 minuti a partita, un minutaggio da stella NBA. Ma i numeri erano quelli di una stella: 24.4 punti di media, 9.1 assist, 4.0 rimbalzi, 1.6 recuperi, 51% al tiro.

IL MOMENTO GIUSTO. Lin, nel 2013 e quindi a distanza di pochi mesi dal periodo newyorkese, ha risposto a una domanda sul perché avesse avuto successo. La sua risposta: “Penso che Dio mi abbia aperto le porte di tante opportunità che mi hanno permesso di superare gli ostacoli nella mia vita. Ad esempio, nel mio anno da rookie ho pensato tante volte di lasciare il basket. Soprattutto dopo che sono finito in DLeague svariate volte e dopo essere stato tagliato dalla seconda squadra in due anni. Ma in queste situazioni, Dio mi ha ricordato che tutto accade per una ragione [...]".

TO BE LIN. Figlio di emigrati di origine taiwanese e cinese, Lin divenne in breve tempo un'icona del basket asiatico. Nel 2011/12, la sua fu la seconda maglietta più venduta nella NBA dopo quella di Derrick Rose con i Chicago Bulls. Dopo di lui c'erano Kobe Bryant, LeBron James, Carmelo Anthony, Dwyane Wade, Dirk Nowitzki, Kevin Durant, Blake Griffin e Rajon Rondo.

IL FUTURO. Nell'offseason del 2012, Lin è diventato restricted free agent. I Knicks avrebbero potuto pareggiare tutte le offerte che il giocatore avrebbe ricevuto, e questa sembrava l'intenzione di Woodson e dei Knicks. Ma gli Houston Rockets puntarono seriamente il play: prima un'offerta quadriennale, poi triennale da 25 milioni di dollari. Una cifra che nel 2012 era molto più importante di adesso, poiché il salario delle franchigie era molto inferiore. Un'offerta tanto importante che Carmelo Anthony, stella dei Knicks, definì "ridicola". Lin trascorre a Houston due anni, poi passa a Lakers, Hornets, Nets, Hawks e infine Raptors. Da questa stagione, 2019/20, ha lasciato la NBA ed è approdato in Cina ai Beijing Ducks. Dopo il periodo alla Grande Mela, Lin ha sempre mantenuto un discreto minutaggio e medie. Ma la Linsanity, quel periodo, resterà nella storia del basket e dello sport americano per diverso tempo.