Warriors, Steve Kerr si rammarica per il litigio con Draymond Green: “Non è stato il mio momento migliore”
In una conferenza stampa di quindici minuti che ha avuto il sapore di un momento di verità, Steve Kerr ha scelto di metterci la faccia, prendendosi l'intera responsabilità per il duro scontro verbale avuto con Draymond Green lunedì scorso. L'episodio, che aveva portato il giocatore ad abbandonare la panchina a metà del terzo quarto contro Orlando, sembra ormai archiviato come un "incidente di famiglia". "Lunedì sera non è stato il mio momento migliore, era un frangente in cui avrei dovuto mantenere la calma nel timeout", ha ammesso l'allenatore dei Warriors alla vigilia della sfida di Natale contro i Mavericks. "Rimpiango le mie azioni in quello scambio. Ho chiesto scusa a lui, lui ha chiesto scusa a me e ci siamo scusati entrambi con la squadra. Sono cose che succedono, specialmente quando metti insieme due persone incredibilmente competitive come Dray e me. In dodici anni insieme è capitato occasionalmente e non ne vado fiero".
Il legame tra i due, iniziato nel 2014, è il motore che ha alimentato quattro titoli NBA, ma è sempre stato basato su un equilibrio sottile tra passione viscerale e scontri frontali. Kerr ha spiegato come la sua personalità sia molto più simile a quella di Green di quanto si possa immaginare, definendo il giocatore come l'elemento imprescindibile dei successi di Golden State. "C'è una lunga storia qui perché ci capiamo a vicenda e io capisco il suo potere. Ci sono quattro banner lassù e ovviamente molte persone hanno giocato ruoli importanti, ma l'ho già detto e lo credo davvero: non credo ne avremmo nessuno senza di lui", ha dichiarato Kerr. "La sua capacità di incanalare quella passione, quell'emozione, quella rabbia pura è una componente chiave del nostro successo. L'altra sera sono stato io a non saper incanalare la mia, di rabbia. Siamo molto più simili di quanto si possa realizzare. Non succedeva da qualche anno un'esplosione del genere, ma abbiamo sempre trovato il modo non solo di riprenderci, ma di fare passi avanti come risultato".
La franchezza di Kerr si è estesa anche alla situazione attuale della squadra, ferma su un record di 15-15 e lontana dai fasti del passato. Con Green che quest'anno sta faticando a trovare ritmo, collezionando più falli e palle perse che canestri dal campo, il coach ha usato parole pesanti ma oneste per descrivere il momento della franchigia. "Non siamo più i Warriors del 2017 che dominavano la lega. Siamo una dinastia al tramonto. Lo sappiamo, lo sanno tutti. Quello che spetta a noi è decidere come ci comporteremo notte dopo notte. Quanto siamo connessi? Possiamo darci un'altra chance? Dobbiamo sapere chi siamo e cosa è possibile, e dobbiamo essere orgogliosi di questa lotta, perché la bellezza sta anche nella fatica ed è parte della vita", ha spiegato, invitando i suoi a non arrendersi nonostante il declino fisico e tecnico del gruppo storico.
Nonostante le voci di mercato e le difficoltà sul campo, il desiderio di Kerr è che il viaggio di Draymond Green termini esattamente dove è iniziato, evitando l'addio che ha segnato la fine dell'era di Klay Thompson. Per l'allenatore, il rapporto con Green trascende il basket, somigliando più a un legame di sangue che a uno professionale. "Il mio obiettivo principale, onestamente, è che finisca la sua carriera da Warrior con noi che combattiamo metaforicamente — non letteralmente, ma competendo insieme — finché non ce ne saremo andati entrambi. Credo che accadrà, perché credo in Draymond e in tutto quello che abbiamo costruito in dodici anni", ha concluso Kerr con una nota di profondo affetto. "È un uomo complicato e sarebbe il primo ad ammetterlo, ma è incredibilmente leale. Difenderò Draymond finché lo allenerò qui, e lo farei anche tra vent'anni quando non saremo più insieme. È così che voglio che finisca tra noi, qualunque sia il momento".