Quando lo smartphone entra in spogliatoio. Regole, abitudini ed aneddoti

Quando lo smartphone entra in spogliatoio. Regole, abitudini ed aneddoti
© foto di LNP

(di Stefano Valenti, LNP). Lo spogliatoio, per gli allenatori, è quel luogo sacro dove nessuno deve entrare, oltre gli aventi diritto. Ed, ancora di più, rappresentano quelle mura da dove nulla deve uscire. Eppure ogni singolo abitante di quei metri quadrati ha a disposizione una macchina fotografica, una cinepresa o comunque un mezzo di comunicazione con l’esterno, con il quale può intaccare quella sacralità.

Lo smartphone è l’insidia, il condizionale diventa d’obbligo, a volte dallo spogliatoio escono immagini che non dovrebbero. Sdoganata la festa della vittoria, che in linea di massima non urta nessuno, gli altri momenti restano una zona grigia dove si mescolano regole e soggettività. Umori, stati d’animo, tensioni che l’esito di una partita può amplificare oltre misura. Cosa regola, allora, la convivenza social negli spogliatoi di alcune delle squadre di Serie A2? Lo abbiamo chiesto ai loro allenatori.

“E’ un problema che non mi sono posto, perché nel prepartita e nell’intervallo non mi sono mai trovato a dover affrontare un uso inadeguato dei cellulari – dice Franco Gramenzi di Latina, veterano tra i tecnici - A fine partita ovviamente è tollerato, ed i giocatori sono mediamente affamati di statistiche. Per quanto, ai miei occhi, non sempre raccontino il valore individuale della prestazione. Anzi, ciò che più spesso apprezzo in un giocatore è ciò che i numeri non raccontano”.

“Alla base di tutto c’è la conoscenza reciproca sulle abitudini dei giocatori, io non ho il diritto di incidere sulle modalità di avvicinamento alla palla a due dei miei giocatori, fatti salvi ovviamente i momenti di dialogo in spogliatoio – spiega Davide Villa, dell’Urania Milano – Posso aggiungere solo una postilla sulla flessibilità nei confronti dell’americano che vive lontano dalla famiglia, e magari ha un figlio piccolo. Ed allora anche la visione di un breve video può avere una funzione motivazionale nel prepartita. Ma resta una flessibilità che va condivisa con i compagni e non può essere eccessiva”.

“Sono arrivato in una realtà dove le abitudini corrette erano già ben chiare, gli atleti sanno che un’ora e mezzo prima della gara scatta il blackout e la libertà di connessione torna a fine gara” dice Luca Bechi della Stella Azzurra Roma.

“La questione è affidata al buon senso dei giocatori, ai quali vanno date poche regole e chiare. In spogliatoio il cellulare non deve suonare – racconta Luca Dalmonte – Alla Fortitudo i giocatori ricevono su Whatsapp brevi video sulle caratteristiche individuali degli avversari, ma per il resto tutto viaggia sul cartaceo. Mi sono imbattuto in qualche uso improprio, ma casi rari e subito chiariti. A fine partita liberi tutti, se ci sono stati episodi discussi parte la caccia a leggere cosa è stato scritto…”.

“Forse sono l’allenatore meno social di tutti – si racconta Matteo Mecacci – A Cento il Club emette un regolamento interno, io ho l’abitudine di farne uno mio ancora più interno che è quello della vita dello spogliatoio. Mi sono imbattuto in carriera in un episodio di uso errato, ma in buona fede: ci si chiarisce e si portano le paste per tutti. Poi c’è il momento della tavola, ed anche lì non si usa”.

“La regola corretta è quella del buon senso, che manca se trovi un giocatore al cellulare durante l’intervallo, come mi è accaduto in una partita di Coppa – spiega Antimo Martino, di Forlì - A fine partita non entro e ritengo che il lavoro sia terminato, i divieti assoluti sono anacronistici. Non sono favorevole all’utilizzo di Whatsapp per inoltrare i report, non sai se il giocatore lo sta leggendo oppure naviga in cerca d’altro. Ed allora si possono creare malintesi in un momento delicato come il prepartita. Con il game-plan sul cartaceo il rischio non si corre”.

“Nelle mie esperienze non ho mai avuto problemi sull’uso errato dello smartphone in spogliatoio – spiega Giorgio Valli, di Mantova - i ragazzi vivono nel loro… metaverso, mentre la nostra generazione è cresciuta in altro modo e sa rinunciare. Usiamo inviare il game-plan sul cellulare, sappiamo se e quanto lo visionano, ma alla base c’è il rapporto con il giocatore. Contano anche il tipo di gruppo e le età. Le statistiche? C’è un giocatore che si conta gli assist in campo ed a fine partita va subito a guardarsi lo scout se coincidono… Ma non è mio”.

“Si parla di buon senso, è corretto. Ma siccome non sempre coincide col tuo, preferisco dire educazione – dice Matteo Boniciolli - Cellulari spenti prima e durante la partita, e finito il colloquio post-gara liberi tutti. Idem in trasferta, non mi piace sentirli suonare in viaggio sul bus né a tavola. Ho avuto un precedente di utilizzo improprio nell’intervallo ed è stato fastidioso. Ma non mi sono mai imbattuto in gente compulsiva, men che meno in questi anni ad Udine. Le statistiche? Uso dieci giocatori, media tra i 18 ed i 24 minuti, da noi i numeri si dimezzano fisiologicamente e lo sanno prima di venire. E non racconteranno la nostra stagione”.

“Quando è esploso il boom del cellulare avevo cercato con regole di limitarne l’uso in spogliatoio ed a tavola, come fecero un po' tutti i miei colleghi – spiega Demis Cavina, tecnico della Vanoli - Poi bisogna essere consapevoli che i tempi cambiano e soprattutto i giocatori più giovani hanno necessità di avere questa connessione globale continua. L’unica limitazione di utilizzo è legata al meeting prepartita, in cui la comunicazione deve essere univoca, mia e dello staff. E lì non trovo mai nessuno col cellulare in mano. Per il resto si va di pari passo con i tempi, che vanno riconosciuti e rispettati. Assieme al rispetto della professione”.