Il Top Coach: quanto ha giovato a LeBron James non averne avuto uno?

John Wooden
John Wooden

(di FRANCESCO RIVANO). Coach, allenatore, mister, guida tecnica. L'ultimo a prendersi i meriti di un successo, il primo a essere accusato di colpevolezza nei disastri. Una figura fondamentale per alcuni, una singola parte di un ingranaggio per certi altri, un elemento di poco conto per quelli del partito "ma tanto in campo scendono i giocatori". E nella settimana in cui due Persone, prima ancora che personaggi, del calcio mondiale dicono addio alla loro panchina, il ruolo dell'allenatore genera spunti e pensieri interessanti. Ok, qui solitamente si parla di basket, ma se amate il mondo dello Sport avrete letto della fine del mandato di Jurgen Klopp, ormai ex allenatore del Liverpool e conoscerete Claudio Ranieri artefice della salvezza del Cagliari. Il primo, dopo un’esperienza di nove anni sulle sponde tinte di rosso del Mersey, ha dedicato una lettera strappa lacrime al popolo che lo ha accolto consapevole che da oggi in avanti “non camminerà mai da solo”; il secondo ha addirittura deciso di farla finita con il calcio e nella sua esperienza in rossoblù è riuscito nell’intento di dare più di quanto abbia ricevuto e in pochi, sbarcati in Terra Sarda, possono vantare questo record. Entrambi, prima che dal punto di vista tecnico, si sono mimetizzati umanamente nell'ambiente che li ha accolti, riconoscendo nei valori del gruppo, della tifoseria e della storia del club i veri principi su cui poggiare le fondamenta dei successi ottenuti in campo.

E nel Basket? Per quanto concerne la NBA siamo appena approdati alla fase delle Finali di Conference e  la cosa più apprezzabile è che i quattro allenatori coinvolti, al di là del testosterone che domina le leghe statunitensi, hanno ripudiato la hero ball in nome del collettivo e del sistema di gioco. Al netto delle vene individualistiche dettate da un talento smisurato nato in Slovenia, sia i Celtics che i Pacers a Est che i Timberwolves che i Mavs a Ovest, sfruttano le parti meno nobili del quintetto e i panchinari concedendo loro minuti e possessi che si stanno manifestando fondamentali. I Pritchard e i Kornet, i Lively e i Washington, i Nesmith e i Nembhard, i McDaniels e i Reid, sono importanti quanto i Tatum, i Doncic, gli Haliburton e gli Edwards. Questo perché anche in NBA come in Europa ora si allena e si allena il gruppo, si allena il sistema, si allena ogni singolo possesso di gioco rendendo il basket statunitense lo spettacolo più avvincente dal mese di Aprile al mese di Giugno. Ma prima era così? Se posso esprimere un modesto parere, che però è ben accompagnato dai fatti realmente accaduti, posso dire senza ombra di dubbio che ad allenatore capace e rivoluzionario è sempre o quasi corrisposto una squadra vincente. E a sostegno della mia tesi porto esempi di Dinastie della NBA nate sotto il segno di una mente superiore.

Primo esempio tra tutti coach Auerbach. Agli albori della Lega che noi tutti oggi riconosciamo nel logo che raffigura Jerry West, quando ancora Jerry West sognava di diventare il giocare che è stato, la capacità di allenare la squadra piuttosto che la singola stella, ha garantito a Red Auerbach il pass per l’eterna grazia. In un mondo in cui la palla doveva andare al George Mikan piuttosto che al Bob Pettit o al Wilt Chamberlain di turno, la rivoluzione di rendere partecipe al gioco l’intero roster ha valso 11 titoli in 13 anni ai Celtics e ha reso ancora più letali i giocatori di maggior talento come Bill Russell. Scaliamo un piccolo gradino verso il basso e scendiamo dalla NBA alla NCAA. Se vi citassi UCLA? Sono sicuro che ai boomer come me verrebbe alla memoria la sapienza di Coach John Wooden, capace di dominare negli anni a cavallo fra i ’60 e i ’70 la scena del basket collegiale. La saggezza nella gestione del gruppo e delle star come Lew Alcindor e Bill Walton gli ha permesso di elevarsi nell’Olimpo del Basket non trovando ostacoli e dominando ancor prima mentalmente ancor che tecnicamente. Eppure al  primo allenamento a Westwood insegnava ai suoi giocatori come indossare un paio di calzini. Torniamo ai piani alti e affacciamoci agli anni ’80, quelli delle sfide fra Boston e Los Angeles, tra Magic e Bird, Tra Red e Buss. Se la voglia di emergere di Pat Riley e la sua umiltà di puntare forte sui dettami di coach McKinney non gli avessero fatto comprendere che la fiducia sui suoi giocatori sarebbe stata la chiave per il successo, forse non avremmo conosciuto lo Show Time e uno degli spettacoli migliori della Lega All Time. Unità di intenti e libertà di pensiero che hanno aiutato Magic & Co. a sciogliersi e liberare tutto il loro estro in campo.

Se parliamo di grandi allenatori di basket statunitense non posso non citare coach Eleven Rings  al secolo Phil Jackson. In compagnia di Tex Winter e della triple post offense è stato capace di regalare l’immortalità a Michael Jordan e a Kobe Bryant. Non sto qui ad elencarvi i successi con i Bulls e con i Lakers ma voglio elogiare come con il suo Zen style abbia portando i suoi giocatori a pensare in campo prima ancora che a saltare. Vogliamo poi parlare di Gregg Popovich, della perfezione dei suoi Spurs, della sua capacità di “fottere” il sistema e mantenere una squadra ai vertici NBA per due decadi? Arguzia e competenza per il coach capace di fare sempre e comunque le scelte giuste al momento giusto. Potrei citare ancora Larry Brown e il suo “play the rigth way” o coach John Thompson di Georgetown, riconosciuto da molti dei suoi allievi come il padre che non hanno mai avuto. Se c’è una fattore che accomuna i grandi coach della storia del gioco è senz’altro la capacità di mettere la squadra e la franchigia davanti a loro stessi, lavorando sodo per far si che ogni componente del roster si sentisse parte integrante di un gruppo che, una volta consolidato come tale, è diventato un nucleo indissolubile. L’insieme è meglio della somma delle singole parti. Di fronte a un leader carismatico la squadra diventa competitiva e di fronte a una squadra competitiva, la città e la tifoseria si entusiasmano e tutti insieme si vince. Ecco quindi dove mi ha portato la lettera di Jurgen Klopp e l’addio di Claudio Ranieri; a pensare che una figura di riferimento dai valori assoluti sia morali che professionali esalta qualsiasi ambiente a qualsiasi livello. Pensare viene prima di agire, programmare viene prima che realizzare, amalgamare viene prima di lottare e sacrificare viene prima di vincere.

Voglio concludere questo articolo con un pensiero malizioso che però ho sempre avuto e che ha sempre avvalorato la tesi dell’importanza del ruolo del coach. Quanto ha giovato a LeBron James non volersi mai affidare a un top coach? Pensate a Russell con Auerbach, a Jabbar con Coach Wooden, a Michael con Phil Jackson, a Duncan con Popovich. Ognuno di questi giocatori ha ottenuto il massimo fidandosi di una guida, di un mentore, mentre LeBron ha voluto affrontare la scalata verso il vertice della storia del gioco da solo. Ce l’ha fatta? Senza ombra di dubbio, ma sono convinto che se avesse scelto di fidarsi di qualcun altro che non fosse se stesso per quanto ne so io avremmo dovuto prestare qualche mano a The King per permettergli di indossare tutti gli anelli e la discussione sul più grande giocatore mai esistito non avrebbe avuto mai più un senso.

Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell'Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell'amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall'amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: "Ricordi al canestro" legato alla storia del Basket. E da pochi giorni ha pubblicato la sua seconda, dal titolo "La via di fuga" Link per l'acquisto del libro. Francesco Rivano ha presentato il suo libro nella Club House della Dinamo Sassari.