Larry Bird: "Vi racconto la mia NBA e le sfide con Magic"

Uno che si preparava al meglio, giocava duro e sul campo dava tutto, contribuendo a migliorare i suoi compagni». Così dice di voler essere ricordato Larry Bird. Uno dei più grandi giocatori di basket della storia. Tre volte (1981, 1984, 1986) campione del mondo (come si definisce chi vince il titolo Nba) con i Boston Celtics, e altrettante volte (1984, 1985, 1986) miglior giocatore della lega. Ma anche campione olimpico (Barcellona, 1992) con il Dream Team. Per descriverlo, il suo ex compagno dei Celtics, M.L. Carr, dice che «era fatto della stessa pasta di John Wayne, il più duro che abbia mai conosciuto». Americano, bianco, Larry Bird, oggi 54enne, è stato l'anomalia del basket che ha dominato nonostante "white men can't jump". Insieme al rivale di sempre, Earvin Magic Johnson, cambiò l'Nba, «portandola a un altro livello», come ha spiegato chi si è poi occupato personalmente della successiva trasformazione: Michael Jordan. «Quei due avevano ciò che sognavo: il rispetto dell'intera lega». Non a caso Bird e Johnson hanno intitolato When The Game Was Ours {Il basket eravamo noi, nelle nostre librerie dal primo febbraio per Dalai Editore) il libro che hanno scritto con la giornalista Jackie McMullan. «Una prova di memoria, impegnativa», ride Larry Bird. «Non è stato facile ricordare tutto quello che ci era successo, soprattutto nel periodo dell'università, alla fine degli anni Settanta». Quando i calzoncini erano più corti e le canottiere quasi aderenti, i calzettoni si portavano alti e le scarpe erano di tela, come nella prima grande sfida dei due campioni: la finale Ncaa del 1979 tra Michigan State (squadra di Johnson) e Indiana State (Bird). Il nuovo fenomeno nero (Johnson) contro la grande speranza bianca (Bird). Vinse il primo, ma fu solo l'inizio di una lunga serie. Per dirla con Bird: «Quando sei giovane non ti interessa quello che è successo prima di te. Vuoi fare la storia, non hai voglia di impararla». Negli anni di Nba (dal 1979 al 1992 Bird; fino al 1991 Johnson, con il rientro per una stagione nel 1996) i due segnarono un totale di 39.498 punti, distribuendo 15.836 assist, prendendo 15.533 rimbalzi e recuperando 3.280 palloni. Soprattutto, facendo la Storia. «Da un giorno all'altro si respirava un'aria nuova», ricorda nel libro Johnson. E Bob Lanier, che all'epoca presiedeva l'Associazione dei giocatori, aggiunge: «Magic metteva il basket prima di tutto. Anche Bird era così. Erano molto competitivi». I due divennero protagonisti di una rivalità che coinvolgeva due squadre, altrettante città, conquistando l'America e il resto del mondo. Lakers contro Celtics. Los Angeles contro Boston. «Arrivai a un punto tale di ossessione che non mi interessava nessun'altra squadra a parte i Lakers», ricorda Bird che, dopo il ritiro (agosto 1992), è tornato nell'Nba come allenatore (dal 1997 al 2000) e general manager degli Indiana Pacers (dal 2003).
In cosa è cambiata la vita dei professionisti del basket americano?
«Ai nostri tempi passavamo più tempo insieme, viaggiavamo con voli di linea e trascorrevamo le notti nelle città dove giocavamo, mentre oggi ogni squadra ha il proprio aereo e riparte subito dopo la partita: in generale credo che tra giocatori ci fosse l'opportunità di conoscersi meglio».
Quale atleta di oggi potrebbe essere paragonato a Larry Bird?
«È troppo difficile per me rispondere a questa domanda».
E a Magic Johnson?
«Ci sarà sempre e soltanto un Magic Johnson».
Che cosa gli ha davvero invidiato?
«Il carisma». Per spiegare il rapporto tra i due, in Il basket eravamo noi sì racconta il giorno dell'annuncio del ritiro di Johnson: (...) Magic prese infine la parola, ringraziò prima di tutto la sua famiglia e i suoi compagni di squadra. Poi si voltò verso il rivale e disse: «È un peccato che Larry e io non possiamo andare avanti per sempre a giocare uno contro l'altro. Ho apprezzato ogni battaglia contro di lui, sia quelle vinte che quelle perse, perché quando giochi contro Bird e I Celtics giochi al meglio delle tue possibilità. Voglio ringraziare personalmente Larry Bird per aver tirato fuori il meglio di Magic Johnson».
Con un passato del genere, invecchiare fa più paura?
«Invecchiare per me non è un problema, mi sto godendo questi anni».
Se non ci fosse stato il basket, cosa avrebbe fatto Larry Bird?
«Se non fossi diventato un professionista credo che avrei fatto il muratore, o avrei allenato i ragazzini».
Il suo quintetto titolare di valori nella vita?
«Rispetto, amicizia, guidare gli altri meglio che puoi e avere cura degli amori della tua vita».
Sono quattro, ne manca uno...
«La competizione. Sono sempre stato molto competitivo, anche nella mia vita privata. Nel golf, nella pesca. E con mia moglie».
I migliori cinque momenti in campo?
«Essere stato scelto dai professionisti. Trasferirmi a Boston: non avevo mai vissuto prima in una grande città. I tre titoli Nba vinti. Giocare per la più grande mente del basket, Red Auerbach (general manager dei Boston Celtics all'epoca, ndr). E l'Olimpiade di Barcellona».
I migliori cinque momenti fuori dal campo?
«Sposarmi. Avere dei figli. Crescere in Indiana. Poter vedere il mondo attraverso il basket. Lavorare duro e avere successo in ciò che faccio».
Cosa rappresenta l'Indiana per lei?
«Il posto dove sono cresciuto e dove ho la maggior parte dei miei ricordi. Ed è uno stato in cui credo».
E in Barack Obama, ci crede?
«Obama ha enormi qualità come leader: lo sostengo e spero davvero che riesca a riportare l'America dov'era fino a qualche annota».
II momento in cui è stato più fiero di essere americano?
«Nessun dubbio: giocare per gli Stati Uniti all'Olimpiade. Non dimenticherò mai quello che ho provato».
Scelta secca: la miglior sensazione quando vinci?
«È la semplice realizzazione di qualcosa che accade quella sera, poi devi prepararti per la prossima».
Miglior sensazione quando perdi?
«Nessuna».
Marco Mathieu