| LNP A2: alla scoperta di Carlo Finetti dopo le frasi shock

L’eco non s’è spenta. Anche perché in genere le sala stampa dei nostri palazzetti hanno il vizio di diffondere l’eco e tanto più forte è una frase ovviamente, tanto più arriva lontano.
Riavvolgiamo il nastro. E’ la sera del 29 gennaio scorso. Alle 17.00 gli arbitri danno inizio alla contesa tra Fortitudo Flats Service Bologna e Apu Old Wild West Udine, girone Rosso della serie A2 maschile. Siamo al mitico Pala Dozza di Bologna. Intorno alle 19.00 la partita è finita, la F ha vinto 95-67. I due quarti centrali hanno spaccato la gara con punteggi di 34-15 e 26-11 sempre per la Fortitudo.
In conferenza stampa l’allenatore di Udine, Carlo Finetti appena subentrato al posto di Matteo Boniciolli fa questa dichiarazione:” Abbiamo fatto schifo al cazzo. Tanta gente è venuta da Udine, ma abbiamo fatto un secondo e terzo quarto alla rovescia contro una squadra che era alle spalle al muro, dato che la storia della Fortitudo non ti permette di perdere due partite di fila. I panni sporchi poi si lavano in casa. Per riassumere, abbiamo fatto schifo al cazzo: dovevamo controllare i tempi della partita, e la Fortitudo ha tirato fuori tutto quello che aveva per dare una risposta alla propria gente. Noi non siamo ancora capaci di resistere alle bordate degli avversari”. E si aprirono le porte dell’inferno perché queste cose non si dicono.
Finetti scusi lei è senese, della contrada dell’Istrice, come le è venuto di dire una cosa che tra l’altro è molto romana come espressione?
“E’ vero è molto romana ma io ho passato un bel pezzo della mia vita a Roma e mi è entrata così dentro quella città che ancora oggi mi scopro a dire “daje” oppure “’nnamo” ed altro del gergo romanesco. Se poi parliamo del perché ho voluto deliberatamente usare quell’espressione dico che ero molto lucido, non mi è scappata, sapevo cosa volevo dire. So bene che la forma è importante dunque la prossima volta magari dirò la stessa cosa con parole altrettanto forti ma diverse”
Sta dicendo che in quel momento non poteva che dirlo così?
“Esattamente. Tra l’altro è un concetto che riguarda tutti noi, ho detto “Abbiamo” non hanno o ha. Potevo accampare le solite scuse “Quello non si allenato tutta la settimana, quell’altro si è allenato poco per un problema, questo ha avuto…”. Tutto vero ma scuse: la verità è che abbiamo approcciato male la partita e proseguito peggio. Sapevo che il Bar Sport italiano avrebbe sollevato un polverone su questa uscita, perché noi italiani quando serve siamo esperti di tutti: immunologia, terrorismo, sport ovviamente, morale e via dicendo. Io volevo isolare la squadra e farla stare in palestra a pensare. Credo che un capo allenatore quando serve, debba mettersi davanti ad un gruppo di persone nel quale crede”.
E come è andata quella settimana in palestra dopo la sua “invettiva”?
“E’ stata una settimana di lavoro impeccabile quindi penso sia servita. I giocatori hanno capito che volevo proteggere il gruppo, anche con l’allenamento che abbiamo fatto a mezzanotte appena rientrati da Bologna. Ho parlato con loro e la società l’ho sempre sentita vicina. A distanza di tempo la mia versione e visione di quella partita non è cambiata”.
Infatti la settimana dopo avete fatto una buona vittoria con Mantova…
“Vero. Ma anche lì ci abbiamo messo un po' a metterci bene in campo con la testa, due quarti. Lo schiaffone pesava su tutti nonostante ripeto una settimana di ottimi allenamenti. A Bologna non siamo stati capaci di resistere e reagire al primo pugno che la Fortitudo ci ha assestato e molto bene. Sapevamo che dopo due sconfitte con due neopromosse avrebbero fatto una partita di rivalsa perché lì una cosa del genere non può accadere serenamente. Ma la nostra testa non ha avuto la forza di farci risorgere dalle prime difficoltà”.
Lei è stato assistente di un grande maestro come Matteo Boniciolli. Cosa ha imparato soprattutto da lui?
“Ho imparato che tutto o moltissimo dipende da quanta energia e concentrazione metti nelle cose che fai. Udine è una società seria, che paga gli stipendi, la gente viene al palazzetto e si sta cercando di costruire una nuova e moderna arena. Lo dobbiamo a tutto questo essere sempre pronti con la testa, mentalmente, concentrati. Poi le partite si possono perdere ma dipende come. Ora vogliamo chiudere al meglio questa fase e prepararci per la fase ad orologio e per i play off”.
Parliamo della sua creatura: cos’è Delivery Basketball?
“Durante il lockdown quello più lungo, ho ripreso alcuni appunti di anni di lavoro emi è venuto in mente di portare a casa dei giocatori il lavoro di perfezionamento o specializzazione tecnica. Perché capisco che magari d’estate non tutti abbiano voglia di spostarsi da casa, dalla famiglia. Palleggio arresto e tiro, movimenti spalle a canestro, tecnica di tiro, passaggio, uno contro uno. Ai giocatori chiedo solo di trovare un campo al resto ci penso io. Tre giorni, sette o dieci sono le formule che propongo secondo il lavoro da fare e secondo il livello del giocatore e di quello che vuole fare. Gli obiettivi sono stabiliti dal tipo di rapporto che ho con il giocatore - per cui con quelli con i quali ho confidenza posso magari suggerire anche io cosa fare – e dal tempo che lui ha a disposizione. Per ora ho un gruppo di trenta giocatori solo uomini ma avrei piacere di allargare il discorso anche alle giocatrici”.
Mi dice la frase di suo papà (per anni nella Mens Sana Siena, un‘istituzione) che ha sempre in testa?
“Prima della frase direi che quello che ho sempre in testa di lui sono i suoi modi di fare per ci lui diceva sempre “I modi definiscono l’uomo”. Con pochi filtri, con passione, sincerità”.