Pieri: «Quanta Trieste dietro ai trionfi delle leggendarie scarpette rosse»

Fonte: Il Piccolo - Roberto Degrassi
Pieri: «Quanta Trieste dietro ai trionfi delle leggendarie scarpette rosse»

Avrebbe voluto esserci, domenica. Tornerà a Trieste il prossimo marzo. La sua città è diventata negli anni una sorta di rifugio, quando vuole prendersi una pausa da Milano che l'ha adottato da 60 anni. Gianfranco Pieri è uno dei grandi triestini che hanno reso grande l'Olimpia Milano dell'epopea Borletti e Simmenthal. Il play della Nazionale alle Olimpiadi di Roma 1960, 82 anni in febbraio, confessa di divertirsi poco con il basket attuale. Il motivo sarà musica anche per le orecchie di Bogdan Tanjevic. «Non mi piace come si gioca e non vedo più autentici gruppi. Troppi stranieri per creare una vera squadra. Ognuno sta per conto proprio, cuffiette sulle orecchie e finita la partita ciao...La mia pallacanestro era diversa», spiega Pieri. Anche se segue poco le cronache delle partite, Pieri è perfettamente aggiornato sul fenomeno Alma.

«Ci pensa il mio amico Giulio lellini a informarmi. Mi racconta che all'Allianz Dome adesso si sta persino stretti dalla gente che c'è. Sono contento, il basket italiano aveva bisogno di ritrovare l'entusiasmo di una Trieste competitiva». Domenica a Trieste arriva Milano. I precedenti raccontano anche una storia fatta di viaggi di talenti triestini verso la Lombardia con biglietti di sola andata. Le "scarpette rosse" si sono prese negli anni la meglio gioventù nostrana, ancora prima del "tradimento" dell'era Stefanel. Gianfranco Pieri, svezzato al ricreatorio Giglio Padovan e lanciato dalla Ginnastica Triestina, è stato uno dei gioielli finiti da Trieste a Milano. «Con la Sgt nel mio primo anno di serie A feci un partitone (34 punti, ndr) proprio contro la Borletti. La colonia di "muli" a Milano era già rappresentata da Cesare Rubini e da Romeo Romanutti, nato a Spalato ma cresciuto a Trieste. Nel basket di allora non giravano grandi ingaggi, io ero un ragazzino. L'offerta di un posto di lavoro a mio padre a Milano significava sistemare l'intera famiglia, garantendomi un appoggio saldo. Ci trasferimmo l'anno successivo. Cominciò la mia avventura in maglia lombarda mentre mio padre lavorò in una torrefazione e poi divenne ispettore della Simmenthal per il Veneto».

Altro basket. «È cambiato tutto. Noi in fondo eravamo mezzi dilettanti che si allenavano tre volte alla settimanadalle 19 alle 21. Quelli attuali sono professionisti in palestra ogni giorno». Il viaggio da Trieste a Milano non si esaurì con il "Professore" Pieri. «lellini, appunto. Vecchiato. Iacuzzo fece invece il percorso inverso. Poi, naturalmente il gruppo della Stefanel in seguito alla decisione del proprietario di lasciare Trieste. E poi Daniele Cavaliero, no? Lo ricordo a Milano ragazzino, dopo essere stato costretto a lasciare la sua squadra, fallita. Mi faceva simpatia. L'ho visto mesi fa durante la partita della promozione a Casale e ho pensato che migliora con l'età, come il vino...»