Daspo sportivo più forte: sì al cumulo tra divieto penale e amministrativo

Fonte: Il Sole 24 Ore - Guido Camera
Daspo sportivo più forte: sì al cumulo tra divieto penale e amministrativo

La Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza Serazin vs Croazia dello scorso 8 novembre (causa 19120/15), ha servito un importante assist alle misure di prevenzione per il contrasto alla violenza negli stadi: secondo i giudici di Strasburgo esse non hanno natura sanzionatoria, ma esclusivamente di protezione della pubblica sicurezza, che può essere minacciata dalla presenza di un soggetto pericoloso durante una competizione sportiva. Il divieto di assistere alle partite è la mera pericolosità del tifoso - derivante da informazioni di polizia attestanti il precedente compimento di condotte illegali - e non la sua colpevolezza in relazione a uno specifico crimine commesso in occasione di una manifestazione sportiva. E il fatto che non si tratti di una sanzione permette il cumulo fra Daspo amministrativo del questore e Daspo giudiziario.

Il caso Alla Corte di Strasburgo si era rivolto un tifoso croato, cui era stato irrogato il divieto di assistere, per 1 anno, alle partite - in Croazia e anche all’estero - della sua squadra di calcio e della nazionale, nonché l’obbligo di presentarsi, prima e dopo la svolgimento di ogni match, presso una stazione di polizia: la misura era scattata in conseguenza di una condanna penale (25 giorni di reclusione, coperti dalla sospensione condizionale della pena, oltre al divieto di assistere per 1 anno alle partite casalinghe della squadra di cui era tifoso) subita due anni prima per i disordini verificatisi durante una partita di calcio, nonché di altri arresti per fatti analoghi, commessi in Croazia e all’estero, anche se non seguiti da condanne penali. Il tifoso aveva lamentato la violazione del principio per cui nessuno può essere punito per gli stessi fatti due volte, riconosciuto dall’articolo 4 protocollo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: a suo giudizio, la misura di prevenzione era da qualificarsi di natura sanzionatoria, e consisteva nella duplicazione della pena inflittagli qualche anno prima dal giudice.

Il verdetto La Corte europea ha respinto il ricorso spiegando che: • le misure di prevenzione sono uno strumento di protezione degli spettatori e dei partecipanti a una manifestazione sportiva, e sono incentivate dal Consiglio d’Europa, e dalla maggior parte delle legislazioni interne, come un valido strumento di riduzione del rischio del verificarsi di eventi violenti in occasione di competizioni sportive; • il divieto non è accompagnato da ulteriori misure privative della libertà personale, o sanzioni economiche, che scattano - a titolo sanzionatorio, e non preventivo - solo in caso di inosservanza dello stesso; • l’obbligo di presentarsi alla polizia non incide sulla libertà personale, perché non contiene un obbligo di rimanere lì per tutto il tempo della partita, nè di consegnare i documenti validi per l’espatrio.

Applicazione più ampia I principi espressi dalla Corte hanno interessanti ricadute anche per l’ordinamento italiano. La legge 401/1989, infatti, pone al centro delle misure di contrasto alla violenza negli stadi il “Daspo” (divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive), ovvero una misura di prevenzione molto simile a quella esaminata dai giudici di Strasburgo. Negli anni, i presupposti del Daspo sono stati ampliati: l’esperienza ha infatti dimostrato che il tifo organizzato non può essere solo fonte di disordini nelle competizioni sportive, ma anche strumento per il compimento di altri gravi reati, riconducibili alla criminalità organizzata. Tanto è che - in seguito alle novità introdotte dal decreto legge 113/2018 - il Daspo può scattare anche per i destinatari delle misure di prevenzione previste dal Codice antimafia (Digs 159/2011), in relazione al sospetto della loro vicinanza alla criminalità organizzata o al terrorismo, anche internazionale. Un molo importante, in ottica preventiva, lo devono avere anche le società sportive, soprattutto nella gestione delle strutture ove si svolgono le competizioni: perché se risultano indiziate di avere agevolato l’accesso allo stadio di persone a rischio Daspo, possono a loro volta subire le misure di prevenzione (tra le quali la confisca) previste dal Codice antimafia.