Biella, addio alla serie A. Ora la vera sfida è la sopravvivenza.

Pallacanestro Biella una provinciale di lusso alla sua prima retrocessione in 12 anni di storia.
Fonte: La Stampa
Biella, addio alla serie A. Ora la vera sfida è la sopravvivenza.

BIELLA - È la fine di un ciclo. Ciao Biella, dice la serie A. Fa effetto, non ha mai giocato per il tricolor, eppure l'Angelico oggi e la Lauretana prima hanno saputo conquistare una parola sudata e costruita nel tempo: rispetto. Perché negli anni Pallacanestro Biella ha strappato l'appellativo di «sesta sorella» della serie A: solo Roma, Siena, Cantù, Milano e Avellino stanno nell'Olimpo da più tempo di lei. Però se sei una provinciale, fidelizzata a far le nozze con i fichi secchi, prima o dopo succede: è capitato a Varese, Treviso e Fortitudo Bologna. Piazze che lassù, quando Biella non esisteva, tenevamo botta per scudetto e coppe. H risultato di domenica sera, il ko di Brindisi e la conseguente retrocessione matematica, segnano la vita sportiva di un'intera città: mai una squadra è stata così a lungo tra i professionisti, costruendo passioni, emozioni, a tal punto da far diventare uno show in un rituale. Che da oggi scompare. Di fronte a un pubblico che in dodici anni è diventato competente, numeroso e tra i più corretti e caldi di tutto il panorama cestistico. E' successo in questa stagione, sarebbe potuto accadere prima: questione di potenzialità, a differenza del passato quest'anno si sono rotti gli ingranaggi, scelte di mercato che non si solo rivelate azzeccate, ma soprattutto ha pesato la pressione e l'ansia. Tanto quella da risultato, quanto quella di un campionato che procedeva (male) e nel frattempo veniva a mancare il terreno sotto i piedi nella tenuta dei conti correnti. «Se nel passato i soci mettevano cento lire, quest'anno ne hanno messe duecento», dice Massimo Angelico. Il coach, Massimo Cancellieri, lo negherà all'infinito: eppure questa situazione destabilizzante, dettata da una crisi che ha di fatto azzerato nuove sponsorizzazioni, ha finito per far mancare quello spirito frizzante che a queste latitudini è sempre stata la ricetta segreta. «A Biella sanno far tanto, con poco» dicevano i procuratori. Non costruisci due giocatori Nba per caso, ne mandi almeno altri cinque in Eurolega da leader e crei un serbatoio dal nulla. La punta sono Sefolosha e Jerebko, poi si guarda la serie A e dici: c'è un pezzo di Biella ovunque. Dal coach Luca Bechi a Bologna, da Fabio Di Bella a Montegranaro, da Marco Carraretto a Siena e ancora Pietro Aradori a Cantù. Biella per dieci anni è stato un pezzo importante del basket italiano. Come lo fu negli Anni Settanta, con la Libertas: che lanciò giocatori come Carlo Caglieris, Ottorino Flaborea e Massimo Lucarelli. Oggi Biella si trova davanti a un bivio. Ci vollero 27 anni per il grande ritorno tra i «pro» in A2 dopo l'addio della Libertas, la storia talvolta è crudele. I tablet di oggi rischiano di raccontare ciò che rimase impresso nei libri di allora. Se questa città non avrà la forza e lo spirito di cambiare il finale.

Stefano Zavagli