Ricchi cadaveri ambulanti e le storture contabili che condizionano i roster NBA

27.05.2025 10:10 di  Umberto De Santis   vedi letture
Ricchi cadaveri ambulanti e le storture contabili che condizionano i roster NBA

Luxury tax e nuovo CBA contano per la vittoria di un titolo NBA molto di più della capacità di un allenatore nel far crescere un roster e di un general manager nell'allestirlo. E questo spiega perché il GOAT della pallacanestro a stelle e strisce odierno - LeBron James per intenderci - vada fuori al primo turno dei playoff. In estrema sintesi, il suo stipendio e quello di Luka Doncic impediscono alla squadra più ricca della Lega di mettere loro accanto i giocatori giusti per raggiungere l'obiettivo - una cosa che era riuscita ben due volte ai manager dei Chicago Bulls negli anni '90 intorno a Jordan e Pippen con i due three-peat leggendari. Solo uno dei primi dieci stipendi del 2024-25 sta giocando le Finali di Conference. I dirigenti delle franchigie sono andati in confusione: premi All-Star e premietti, diritti televisivi, la paura che i beniamini dei loro tifosi se ne andassero, l'esosità naturale degli agenti li hanno spinti a gesti inconsulti e imprudenti. Mega contratti a giocatori arrivati sulle stampelle a fine carriera come Bradley Beal (vedi la fine che hanno fatto i Suns) e Paul George (idem per i Sixers), tanto per fare due dei tanti esempi possibili. 

In questi giorni l'argomento torna attuale. Non ci crederete, ma ci sono squadre refrattarie alla luxury tax. Gli Indiana Pacers sono in finale di Eastern Conference, e non l'hanno finora utilizzata. Ma sanno già che saranno le vittime del loro successo. In estate il prolungamento del contratto del centro Myles Turner li esporrà a superare il primo livello costringendoli a scelte non facili, ma se sia mai che vincessero l'anello sarebbero costretti a smantellare buona parte del roster che esce dalla panchina almeno se non vorranno esporsi finanziariamente. Qualcuno dirà che è lo stesso problema dei Boston Celtics, ma in questo caso parliamo di una squadra che è addirittura sopra il secondo livello della luxury tax e rischia di rimanere ingessata nelle operazioni di mercato al punto da non poter sostituire quel Jayson Tatum che la stagione 2025-26 la vedrà dalla tribuna.

In questa grande partita che coinvolge grandi e piccoli mercati della NBA, i campioni sono gli Hornets e i Pelicans, che non hanno mai pagato una luxury tax. La franchigia di New Orleans avrebbe dovuto farlo per la prima volta in questa stagione ma, con gli infortuni, è riuscita a scendere sotto la fatidica barra a fine stagione. Anche i Pistons, gli Hawks, i Wizards e i Grizzlies evitano accuratamente di superarla. Introdotto nel 2002, questo sistema è stato generalmente evitato anche dagli Spurs, che sono riusciti a vincere quattro titoli nel periodo senza far saltare i loro conti, grazie in particolare agli sforzi finanziari dei loro "Big Three", Tim Duncan, Tony Parker e Manu Ginobili, che hanno sempre lasciato flessibilità alla loro franchigia. Ma non è solo una questione di piccoli mercati. Chicago è il 3° mercato americano, mentre Houston è il 6°, e i Bulls e i Rockets non amano essere tassati in questo modo. Per i due club, questo è successo solo due volte in 23 anni.