La fortuna di nascere Gemelli del 31 maggio. Da Paolone Vittori, grande della nazionale e di Milano e Varese, al globetrotter Piero Pasini fino a "Supersimo" Pianigiani coi suoi record

01.06.2011 10:20 di  Enrico Campana   vedi letture
Paolo Vittori ai tempi della grande Ignis
Paolo Vittori ai tempi della grande Ignis

(Enrico Campana)
Il 31 maggio Simone Pianigiani ha festeggiato il compleanno a modo suo, in un palazzetto e con uno dei tanti record, stavolta quello che con 200 vittorie lo pone primo coach nella storia ad averne accumulante così tante, e se dal ’73 in avanti Cardaioli, Lombardi, Ataman e Recalcati avevano firmato la scalata da quota 100 in avanti, il coach della Lupa in soli 5 anni ha bruciato ogni record tagliando il traguardo delle 700 e 800 vittorie. Auguri e figli maschi, e già che ci siamo anche a Jasmin Repesa nato il 2 giugno.
Per la serie un compleanno è anche l’occasione per ricordare l’opera di chi ci ha preceduto, per dare un senso al futuro col riconoscimento della storia, il 31 maggio obbliga anche a un doveroso omaggio a due altri illustri nati il 31 maggio sotto il segno dei Gemelli,. Si tratta di Paolo Vittori e Piero Pasini due protagonisti della pallacanestro italiana che hanno molte cose in comune. Hanno conquistato titoli prestigiosi, dallo scudetto alla coppa dei Campioni (trofeo che Pianigiani ancora deve conquistare) e lasciato un segno indelebile nella loro carriera affermando uno stile personale sul campo e come persone schiette, che non scendono a patti, poco inclini a qualsiasi forma di oppressione, come a volte può essere anche lo stesso formalismo ipocrita di cui è impregnato il nostro movimento. Persone naturalmente di stile, carismatiche, in ogni fase della loro carriera, sia quella più alta e quella di missione, vedi provare gusto anche nell'andare in palestra coi ragazzini, cosa amata anche da Pianigiani che si è fatto le ossa col vivaio.
Paolo Vittori, il più forte giocatore goriziano, è stato uno dei grandissimi della pallacanestro italiana degli anni Sessanta-Settanta passando dal Simmenthal all'Ignis, maglie fra le più prestigio (ha giocato anche a Bologna, ma nel Motomorini e non nella Virtus) vincendo ben 6 scudetti in totale. Un percorso inverso rispetto a quello che più tardi farà un suo giovanissimo compagno di squadra a Varese, Dino Meneghin, vestendo prima la maglia gialloblu e poi quella dell'Olimpia. Un vero match-winner il Paolone , punto di forza della squadra di Nello Paratore, capace di convivere con un istrione come Gianfranco Lombardi, un altro grande cecchino, o con i funambolismo di Guido Carlo Gatti, il primo giocatore a schiacciare all’indietro, e di avere una parte decisiva nella crescita della squadra azzurra in tutti i grandi appuntamenti internazionali, dall'Olimpiade ai mondiale.
Sembra che questo giocatore un pò lunatico, a volte un pò introverso per attivare una proficua comunicazione, dopo aver vinto 4 volte il tricolore con Cesare Rubini avesse risposto bruscamente al suo celebre coach il quale decise da quel momento come non fosse più il giocatore adatto per il famoso contropiede marchio di fabbrica delle "scarpette rosse". Questa fu la ragione per la quale finì a Varese senza tuttavia riuscire subito ad ambientarsi. Per cui il commendator Borghi lo mandò a Napoli all'Ignis Sud dove con Tonino Zorzi e altri califfi dalla prima epopea varesina (Gavagnin, Maggetti, Bufalini) dove ebbe una sorprendente metamorfosi tecnica, da cecchino-terminale senza un grande palleggio, a un 3 capace di giocare guardia, non velocissimo, ma con ottima visione di gioco e un fisico da gladiatore che gli permise di coronare una carriera splendida, e di aggiungere ai molti tricolori, la Coppa Italia, la Coppa Intercontinentale e la Coppa dei Campioni. Non sono molti i campioni italiani con questo palmares. Un giocatore intelligente, con ottima visione, capace di giocare vicino e distante dal canestro, con un jump perfetto, il retro-spin della palla per evitare il rimbalzo lungo.
Era capace in questa sua evoluzione Vittori di poter giocare all’occorrenza anche a fianco di Aldo Ossola, preferiva sempre l'attacco e la direzione carismatica della sua orchestra alla difesa dove s'è impegnato strenuamente però nelle partite importanti, forse per un antico concetto che i cecchini devono risparmiarsi, essere lucidi per l'attacco, e avere dietro chi lavora anche per loro. Ma quando Paolone voleva si dimostrava un fighter implacabile anche senza una corretta marcatura tra palla e attaccante, ma rimanendo dietro per far valere possanza e mestiere.
Il miglior Vittori nella sua splendida carriera, insomma, sbocciò a 33-34 anni, nella grande Ignis europea, e in qualche gara molto spinta come ritmo, l’ho visto boccheggiante recitare una gag da grande artista. Si fermava a metà campo, e sfilandosi la scarpa chiamava il time out dell'arbitro, e con molta calma tornava a calzarla allacciandosi lentamente le stringe, cosa che mandava in bestia gli avversari.
Gli ultimi spiccioli di gloria come giocatore li ha spesi a Rieti dove però non ha avuto fortuna come coach, forse ancora troppo legato al suo ego da fuoriclasse anche, e quindi ha ripiegato tornando a Varese per occuparsi di organizzazione e selezione di attività giovanile. Non si è mai abbassato ai compromessi, cercato scorciatoie o raccomandazioni, il sistema italiano premia del resto altri valori e non ha utilizzando fino a fondo le sue capacità, come sarebbe successo nel più concreto mondo slavo.
Oggi ha compiuto 73 anni, ha raccolto meno di quel che ha dato anche se giustamente non poteva essere ignorato come il primo grande 2-3 del basket in una squadra che dava la paga a tutte le formazioni europee e che chiuse il ciclo dei russi. Una squadra che non è più nata, e che forse non era nemmeno la Tracer stellare o la Virtus di Messina
Topone Pasini che ha compiuto 69 anni, il Topone di Forlimpopoli, la stazza, i baffetti e l'aria sornione di Porthos, il più simpatico dei Moschettieri, potrebbe invece intitolare la sua biografia di allenatore sempre in viaggio come quella di Jim McGregor "Called for travelling". Il suo destino è quello del globetrotter. Anche se a differenza dell'indimenticabile Jim ricordato per il primato da Guiness in fatto di squadre nazionali, da quella azzurra a quella di remoti paesi africani per il rosso coach dell’Oregon, lui ha fatto su e giù per l'Italia e girato anche le isole, al punto di aver servito ben 24 formazioni, fra le quali 6 femminili conquistando il titolo italiano ed europeo con Vicenza. Intelligenza pratica, poco convenzionale, non ha mai sprecato grandi occasioni, ha sempre fatto giocare bene le sue squadre, ha potuto esprimere il suo stile di pallacanestro, ha lavorato molto e senza l'aria di quello con la puzza sotto il naso e che chiama il suo gioco “la mia filosofia”. Vincere uno scudetto giovanile a Olbia, certamente, fa capire con quanta passione abbia portato avanti la sua carriera che fortunatamente ancora continua, nel senso della lealtà, della demistificazione, di quella capacità di farsi amare dovunque: dai propri giocatori, dirigenti, il pubblico e anche i giornalisti.
Il Topone spesso ha infilato i suoi denti nel formaggio, ma con simpatia. Un topo da granaio, non quelli di fogna come certi colleghi o malandrini come quelli di città.

encampana@alice.it