Il calcio cerca talenti tra immigrati: pronti a dare un calcio allo ius sanguinis?

19.03.2023 08:35 di  Umberto De Santis  Twitter:    vedi letture
Il calcio cerca talenti tra immigrati: pronti a dare un calcio allo ius sanguinis?
© foto di SAVINO PAOLELLA

Un articolo apparso il 16 marzo sulla Gazzetta dello sport a firma Alex Frosio riporta i piagnistei della Nazionale azzurra di calcio che può, a fatica, scoutizzare oriundi da inserire nel circuito come Mateo Retegui, centravanti argentino e italiano del Tigre, o Bruno Zapelli, altro italo­argentino, fantasista del Belgrano per l'Under 21.

Ma non può attingere all'immenso serbatoio costituito da "tantissimi ragazzi che la maglia della Nazionale non la possono indossare: sono nati qui, parlano italiano, spesso pure con un forte accento regionale, frequentano la scuola italiana, praticano sport nelle società italiane. Sono i figli degli immigrati, gli italiani "di seconda generazione". 

Italiani in tutto e per tutto che però non lo sono ancora per legge. Nello specifico, la legge numero 91 del 5 febbraio 1992, quella che regola la cittadinanza. Nel nostro Paese si ottiene per ius sanguinis: in breve, chi nasce da genitori di nazionalità italiana è italiano. E i figli degli stranieri, quelli senza la cittadinanza italiana?

No: quelli ereditano la nazionalità dei genitori e devono aspettare di compiere i 18 anni. E a quel punto fare richiesta ufficiale e dimostrare di essere residente in Italia dalla nascita alla maggiore età, senza interruzioni (e rinunciare alla nazionalità di origine). Il tema è molto più complesso e scivoloso, ma nel ristretto campo dello sport porta alla conseguenza che tanti bravi ragazzi con il pallone, nati e cresciuti qui, non possono essere convocati nelle nazionali giovanili perché non hanno il passaporto italiano.

Dal 2016 in realtà la legge ha riconosciuto lo "ius soli sportivo", ovvero la possibilità per i minori stranieri regolarmente residenti in Italia "almeno al compimento dei dieci anni di età" di essere tesserati presso le federazioni sportive "con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani".

Iniziativa lodevole ma che ha creato un ulteriore paradosso: Amey (un ragazzo nigeriano classe 205 da papà togolese e mamma nigeriana e più giovane esrodiente della serie A di calcio) e quelli come lui sono italiani per il club in cui giocano ma non italiani abbastanza da giocare in Nazionale. Figli di un pallone minore.

Se ne riparlerà a 18 anni: come è successo per Mario Balotelli nel 2008 e più di recente a Caleb Okoli, difensore dell'Atalanta diventato colonna dell'Under 21. Willy Gnonto è stato più "fortunato": papà Boris ha ottenuto la cittadinanza nel 2009 – 17 anni dopo il suo arrivo in Italia dalla Costa d'Avorio ­ grazie al parroco di Baveno presso il quale faceva da custode all'oratorio. Procedura comunque tutt'altro che semplice.

Pochi esempi, essenzialmente per le difficoltà legislative (per non parlare di tutti quelli che qui non sono nati e vengono comunque seguiti dagli scout azzurri: la lista diventa lunghissima). Mentre altrove ci sono Paesi che da anni sfruttano il bacino dell'immigrazione: Francia, Belgio, Svizzera sono diventate nazionali multietniche, e con successo."

La Nazionale di calcio che non gioca i Mondiali per due edizioni consecutive, un CT che si lamenta, la stampa che lo appoggia per non rovinare il giochino, folle di tifosi pronte a scatenarsi non appena dato loro il via sui politici. Stai a vedere che una vera legge di "ius soli" potrebbe essere più vicina di quanto la fatica che ha dovuto fare Massimo Antonelli per il suo Tam Tam Basket, e tanti di noi baskettari dietro di lui, possa lasciarci immaginare.