Lega A - Tom Bialaszewski, un volto nuovo e particolare per l'Olimpia Milano

Fonte: olimpiamilano.com
Lega A - Tom Bialaszewski, un volto nuovo e particolare per l'Olimpia Milano

Il tiro udito in ogni angolo del mondo. Il tiro di cui si parla ancora oggi, il tiro che ha ispirato libri e documentari. 1992: finale dei Regionals della NCAA. Kentucky contro Duke. La madre di tutte le partite. Rick Pitino contro Mike Krzyzewski. Tutto quello che devono fare i Wildcats è difendere sull’ultimo disperato tentativo dei Blue Devils. Il passaggio lungo di Grant Hill trova nella lunetta opposta Christian Laettner. Riceve, si gira, tira. Segna. Kentucky è eliminata. Duke prosegue la sua corsa che la porterà a vincere il titolo NCAA. Pochi mesi dopo Laettner sarà l’unico giocatore di college a trovare posto nel Dream Team americano di Barcellona 1992. Christian Laettner veniva da Buffalo, stato di New York. Come Tom Bialaszewski, da quest’anno nello staff di Ettore Messina. Una new entry per il basket europeo.

 “Ho cominciato ad appassionarmi a Buffalo – racconta Tom -, che non è tradizionalmente un luogo molto appassionato, ma a quei tempi Christian Laettner giocava a Duke. Lui è cresciuto a 15 miglia da dove vivevo io. C’era grande seguito per Duke”. Buffalo è nella parte alta dello stato di New York, un posto freddo, vicino alle cascate del Niagara, che ospitò una squadra NBA negli anni ’70, i Braves, prima che si trasferissero. Ma è soprattutto territorio di football americano, con gli amati Bills della NFL. Ma Bialaszewski aveva altre idee e altre passioni. “Ho visto tantissimo college basketball da bambino e poi da ragazzo, infine quando ero al college ho iniziato ad allenare nella mia vecchia high school. L’ho fatto per tre anni, poi ho allenato a livello di Division III, sono stato a Louisville come “graduate assistant” e infine ho avuto un’opportunità ai Cleveland Cavaliers. Così sono entrato nel basket professionistico”.

E da allora non ne è più uscito. L’esperienza più lunga è stata ai Los Angeles Lakers. “Lavorare per anni ai Lakers, con giocatori come Kobe Bryant, Pau Gasol, Steve Nash, è stata un’esperienza incredibile, in campo e fuori del campo. Ho lavorato per tanti allenatori, tre differenti head coach, ma anche un ampio numero di eccellenti assistenti, alcuni dei quali sono diventi head coach. Ad esempio Quinn Snyder, Steve Clifford fino a Ettore Messina qui a Milano”. Alla fine di quel quinquennio aveva il ruolo di responsabile del “game planning”.  “Nella NBA le partite si susseguono fast and furios, ne giochi anche tre o quattro alla settimana. A quei tempi capitava di averne quattro in cinque giorni. Per me si trattava di guardare le ultime cinque partite precedenti di ogni avversario, analizzare punti di forza e debolezze e tentare di preparare un piano di attacco per situazioni specifiche, cosa poter fare rispetto ai nostri principi di base”.

In quegli anni ha sviluppato un rapporto profondo con Kobe Bryant. “Quando ti guadagni il rispetto di un giocatore come lui, il resto viene da solo. Ho lavorato con lui cinque anni, all’intervallo guardavamo insieme le sue clip e abbiamo sviluppato un rapporto più stretto. Avere questo tipo di rapporto, soprattutto per uno come me che non ha mai giocato, mi ha permesso di conoscere il punto di vista di un fuoriclasse, come e perché faceva certe cose”. Dopo i Lakers, ci sono state altre esperienze nella NBA e poi il primo trasferimento all’estero, in Australia. “Per circa due anni e mezzo sono stato direttore tecnico e allenatore della Global Academy NBA in Australia: si cercano in tutto il mondo ragazzi che nel loro paese non hanno le infrastrutture necessarie per poter esprimere tutto il loro potenziale di giocatori. Questi ragazzi provenienti da Asia, Camerun, Nigeria, Argentina, Corea del Sud, la stessa Australia vengono riuniti per essere allenati, ma anche ricevere l’assistenza di preparatori atletici, fisioterapisti, nutrizionisti, educatori per poter provare a diventare giocatori si successo. Non ci sono garanzie ma questo programma offre loro l’opportunità migliore”, dice Tom.

In tutti questi anni Bialaszewski è rimasto in contatto con Ettore Messina che conobbe ai Lakers. “Era il mio primo anno ai Lakers e il suo unico anno, ma il nostro rapporto si è consolidato dopo la sua esperienza a Los Angeles. Sono sempre stato attratto dal basket internazionale, che consideravo una risorsa ancora non del tutto esplorata dalla NBA, per il modo di fare certe cose. Quando ho lavorato da scout per i Jazz e lui era a San Antonio il rapporto si è intensificato”, racconta. Così quando il telefono è squillato…

“La prima emozione è stata di eccitazione – racconta Bialaszewski della prima volta in cui ha saputo dell’interesse dell’Olimpia – E’ cominciato tutto come una possibilità, poi di fronte a questa opportunità, anche parlandone con i miei amici, ho pensato che sarebbe stata un’esperienza professionale fenomenale, ovvero lavorare con un allenatore come lui, in una società come questa e al tempo stesso immergermi nei concetti tipici del basket europeo. E un altro elemento chiave è l’esperienza personale: vivere in Europa, conoscere una nuova città, esporre i miei figli ad una cultura diversa, usi differenti. Non c’erano controindicazioni”.