Pensieri e parole: il "diritto di giocare" e lo spazio per farlo

Una lectio di Julio Velasco ci introduce in un argomento che conosciamo tutti molto bene ma che altrettanto spesso dimentichiamo
27.07.2022 00:38 di Eduardo Lubrano Twitter:    vedi letture
Pensieri e parole: il "diritto di giocare" e lo spazio per farlo

"Bisogna stare molto attenti a creare nei giovani l’alibi che il loro problema è che non li facciamo giocare, perché l’assistenzialismo nello sport competitivo non ha mai pagato.

La prima cosa è che il giovane si deve guadagnare il diritto di giocare.

Lo sport ha una caratteristica: non è sufficiente fare le cose bene. Non è sufficiente farle nemmeno benissimo. Le dobbiamo fare meglio degli altri, sennò perdiamo.

Allora noi prepariamo dei giovani, ma lo facciamo per fare meglio degli altri o prepariamo dei giovani che vogliono la strada facilitata? Semplice dire: “più spazio!”. D’accordo, ci vuole, ma ci vuole anche una mentalità diversa, perché io sento molti giovani dire che va tutto male. Che si lamentano, che guardano sempre quello che non c’è, che manca questo o quello.

No, no! Perché se questa mentalità prende quota siamo rovinati".

I giovani e lo sport, una lezione di Julio Velasco

Giusto? Sbagliato? Non credo che in questi casi si possa dare un giudizio definitivo. Piuttosto bisogna riflettere su queste parole che come sempre Velasco sa mettere molto bene insieme, spesso anche meglio di noi madre lingua italiani. Perché magari in molti la pensiamo come lui ma non siamo riusciti a formulare il concetto in questo modo così forte. Su Facebook ho visto tanti like a questa “lezione” tra i quali uno di Matteo Boniciolli che l’ha addirittura postata sottolineandone l’importanza con “Parole sante”o una cosa del genere.

Dunque di ci è la responsabilità della crescita di un giovane sportivo? Io penso che sia la famiglia in primis che dovrebbe educare ragazze e ragazzi ad una sana pratica dello sport, sostenerli, aiutarli e spronarli senza mai pensare che un giorno quei sacrifici possano essere ripagati da un ritorno economico. Questo è il primo passo verso la rovina della mentalità del giovane o della giovane. Poi sta agli istruttori fare il loro lavoro senza pretendere di essere allenatori e dunque insegnando le basi, la tecnica, i fondamentali di uno sport, valutando non esasperando la capacità agonistica di ogni atleta, come invece accade in troppi campi, palestre, piscine ecc.ecc. Una volta consegnato un giovane che conosca le basi del suo sport agli allenatori, sono loro che devono valutare le caratteristiche di ognuna e cercare di farle rendere al meglio per quello che possono.

Nel nostro sport per esempio se a 15 anni sei alto/a 1.80 è quasi obbligatorio che tu vada a giocare sotto canestro, nella speranza di crescere ancora. A volte capita ma spesso non capita e così a 18 anni ci si trova con un giocatore che non è né carne né pesce perché una volta capito che l’altezza sarebbe rimasta quella non gli è stato insegnato più nulla di specifico. Domanda retorica: quante ragazze under 20 sanno giocare uno contro uno per crearsi un tiro da sole? Fare un arresto e tiro? Risposta: si contano sulle dita di una mano. E’vero che il gioco è cambiato ma una guardia o un’ala piccola anche a questo livello ormai al ferro non ci arriva più perché le difese sono grandi, alte e fisiche, le parabole di tiro vengono cambiate all’ultimo momento e si vedono cose che “voi umani non potreste nemmeno immaginare…”. E l’Under 20 è l’anticamera anzi è qualcosa di più della serie A, perché qualcuna ci gioca ed è l’ultimo anno della categoria giovanili.

Quel che dice Velasco è secondo me un invito, ma anche qualcosa di più, a non cedere più alle lusinghe del talento puro e semplice che appunto vuole tutto, subito e facilmente. Anzi più talento c’è e più c’è da lavorare per guadagnarsi il “diritto di giocare”. La storia insegna che i veri campioni, i veri fuoriclasse sono sempre i primi ad arrivare in palestra e gli ultimi ad andar via e che si allenano con maggiore dedizione e lucidità degli altri. Quel che abbiamo visto in partita di Drazen Petrovic, Cresimir Cosic, Arvidas Sabonis, Drazen Dalipagic, Toni Kucoc, Predrag Danilovic, Alexander Volkov, Juan Pablo Navarro,, Panagiotis Yannakis, Dimitris Diamantidis, Dino Meneghin, Roberto Brunamenti, Aldo Ossola, Antonello Riva, Davide Bonora, Michael Jordan, Lebron James, Stephe Curry, Mabel Bocchi, Lidia Gorlin, Catarina Pollini, Mara Fullin, Laura Macchi, Raffaella Masciadri – ho messo alcuni dei miei preferiti e chiedo scusa a tutti quelli e quelle che non ho citato – quel che di meraviglioso abbiamo visto di loro dunque, è stato solo ed esclusivamente il frutto di un quotidiano durissimo ed intelligente lavoro in palestra. Con il quale molti di loro sono riusciti ad eccellere pur non avendo tutte e tutti quel talento abbagliante di Michael Jordan per esempio, che però l’ha curato ogni ora della sua carriera.

Tutto molto banale? Sì sì lo so benissimo. E’vero. Fino a quando non ce ne dimentichiamo. O fino a quando qualcuno dà una valutazione non corretta di un’atleta (capita e ci sono esempi clamorosi). Oppure fino a quando una famiglia decide che il proprio caro o cara è la perfezione e che gli allenatori non capiscono nulla di basket e distruggono la vita e la carriera della giovane o del giovane. O fino a quando un procuratore pur di ingrassare il portafoglio della sua assistita/o non esita a scegliere l’offerta migliore non la soluzione tecnica migliore.

Riassumendo: lo spazio per giocare c’è ma certamente va allargato. Tutti e tutte fanno qualunque cosa per poter dire tocca a me?

PS: a 15 anni il maestro di chitarra di Angus Young gli disse “Ragazzo mio, lascia perdere questo strumento non è per te!” Se il ragazzo non avesse continuato – e non ci fosse stato il fratello Malcom -  non ci sarebbero stati gli AC/DC, uno dei gruppi rock universalmente riconosciuti come capisaldi di un genere…