Dado Lombardi e Bob Morse ricordano Pino Brumatti

TRE PROMOZIONI. Gianfranco “Dado” Lombardi, 69 anni, piange Pino Brunatti, l’amico con il quale ha condiviso trionfi, vittorie e tante pagine di storia. «Reggio Emilia, Verona, Siena: sempre insieme. Io in panchina, lui in campo, con lo stesso identico risultato: squadra promossa». Due tipi così diversi eppure così amici. «Più che amici, nella diversità dei caratteri, fratelli. Dopo una sconfitta io vedevo nero, mi arrabbiavo. Lui no: sempre sereno, positivo, ottimista. Era la luce dei momenti bui». Ricorda in particolare la prima promozione, il Dado. «Eravamo a Siena. Dovevamo affrontare Imola: seimila persone al palazzetto, una tensione che si tagliava a fette e lui che fa? Entra nello spogliatoio, tranquillo come sempre e dice: Stanotte ho fatto un sogno. Il pubblico in campo che ci abbraccia. Oggi vinciamo facile».
Il Dado è scaramantico, qualche compagno di Pino pure. Partono gli scongiuri con Brumatti che insiste a raccontare a tutti il suo sogno. «Alla fine – dice Lombardi commosso – siamo sopra di venti. Inizia l’invasione del pubblico festante prima ancora della fine. Ci abbracciano tutti. Aveva ragione Pino, come sempre. Uno vero: oggi, uomini così, non ce ne sono più».
ASSIEME a Roosevelt Bouie era l’anima made in Usa delle Cantine Riunite, assieme a Pino Brunatti fece la gloria della pallacanestro reggiana a metà anni ’80. Bob Morse, indimenticato fuoriclasse di Varese e Reggio, vive ora a Southbend, nell’Indiana, dove insegna italiano nel locale liceo.
Quando lo informiamo dell’improvvisa scomparsa di Brumatti un lungo attimo di silenzio cala sulla chiamata intercontinentale. Quasi a congelare il tempo prima di riannodare il filo del ricordo. «Sono incredibilmente addolorato, una morte così improvvisa...»
Morse, chi era per lei Pino Brumatti?
«Si dice sempre, ma nel suo caso è assolutamente vero: una persona splendida. L’ho conosciuto al mio primo anno in Italia, quando lui giocava a Milano. Ricordo sfide epiche ma sempre corrette.Poi ci siamo ritrovati insieme a Reggio».
Che ricordo ha del giocatore?
«Un grande combattente, che non mollava mai, che si allenava sempre, con professionalità e grinta».
Insieme faceste le fortune delle Cantine Riunite...
«Entrambi avevamo giocato in formazioni che avevano sempre lottato per lo scudetto. Per cui, in maglia biancorossa, ci sembrava naturale, specie quando giocavamo contro corazzate come la Virtus Bologna o l’Olimpia Milano, tirare fuori il massimo dai noi stessi, quasi si tentasse di vincere il Tricolore. E i nostri compagni ci venivano dietro».
Cosa la colpì di lui, sotto il profilo umano?
«Il fatto che fosse una persona sempre gioiosa e la sua semplicità. Quando arrivai a Reggio lui era il capitano e mi accolse con grande spontaneità. Lo ricordo come amante del buon vino e della buona tavola. A caldo, così, mi torna in mente il suo sorriso e le cene insieme a tutti i compagni».
a.g./g.g