Magic Johnson: "Vivo con l'Aids ma la battaglia è solo cominciata"

Fonte: La Stampa - Torino
Magic Johnson: "Vivo con l'Aids ma la battaglia è solo cominciata"

(Paolo Mastrolilli, inviato a Los Angeles) E l'Aids non fu più la stessa cosa. Smise di rappresentare una condanna a morte per omosessuali e tossicodipendenti, e divenne una malattia che colpiva tutti, ma poteva essere combattuta. Non ancora sconfitta, ma almeno trasformata in una condizione cronica con cui si poteva convivere. Guardando indietro di 20 anni, è questo il significato dell'annuncio che Earvin «Magic» Johnson fece il 7 novembre del 1991, quando rivelò al mondo di essere sieropositivo? «No - risponde lui adesso -.  E' vero che sto bene, ma non sono guarito. Sono ancora una persona infetta e per sopravvivere devo condurre un'esistenza molto dura. Lo dico affinché la gente non si faccia illusioni, non abbassi la guardia, e non ripeta i miei errori».

Magic era un prestigiatore del baskek Nba, ancora al massimo della forza, costretto ad abbandonare per colpa della peste del XX Secolo. L'aveva contralta con la vita sessuale scapicollata condotta insieme a Eddie Murphy, Arsenio Hal e altri amici ricchi e famosi. Un campione eterosessuale che non aveva vergogna d ammettere i propri errori, rivelare la sua malattia, e non arrendersi. Cocktail di farmaci prescritti dal geniale dottor David Ho, dieta ferrea, vita famigliare finalmente tranquilla, grazie alla moglie Cookie che l'aveva perdonato. Addirittura il ritorno sul parquet, per vincere l'oro olimpico a Barcellona col Dream Team, nonostante qualche compagno di squadra avesse avuto da ridire. E poi l'impegno sociale con la «Magic Johnson Foundation», dove non si proponeva solo di combattere l'Aids, ma di trasformare la sua sventura in una fortuna per decine di ragazzi svantaggiati, giovani in cerca di borse di studio, malati che come lui non avevano alcuna intenzione di sedersi in panchina.
Vent'anni dopo questa speranza vive ancora, in un edificio bianco sul Wilshire Boulevard di Beverly Hills dove ha sede la «Magic Johnson Foundation». All'entrata, davanti ad una sua foto col presidente Obama, ci accoglie tutto lo staff: il presidente Amelia Williamson, i vice Kirk Scott, la direttrice dei programmi contro l'Aids Shane Jenkins, il manager delle borse di studio Kadar Lewis e la responsabile dei Community Empowerment Centers Jeanella Blair. Attraverso di loro parla Magic, che adesso teme soprattutto una cosa: il suo successo personale nel sopravvivere con l'Hiv si sta trasformando in un boomerang per la lotta all'Aids: «Il 40% degli americani pensa che sia guarito, gli altri credono che l'Aids ormai sia diventato una malattia cronica, che colpisce poche persone ed è facilmente controllabile.
Quindi abbassano la guardia, dimenticano la prevenzione e diminuiscono anche i soldi destinati alla ricerca. La verità, però,
è un'altra: ogni nove minuti e mezzo una persona viene contagiata negli Usa. Certe zone del Paese, come Washington, hanno ancora numeri di casi da epidemia. Quindi bisogna moltiplicare gli sforzi per la prevenzione e gli investimenti per la ricerca. Se questo motore si ferma, alla lunga anche i cocktail di farmaci diventeranno inefficaci, e l'Aids tornerà ad essere una condanna a morte».
Magic è così convinto di dover riattirare l'attenzione sulla nuova emergenza, che ha deciso un drammatico cambio di strategia: per la prima volta comincerà a raccontare la sua vita da malato, i farmaci Trizivir e Kaletra che deve prendere ogni giorno, la fatica di sopravvivere. Lo farà attraverso un documentario che Espn trasmetterà a marzo prossimo, entrando nella sua casa e nella sua vita quotidiana, per far vedere a tutti che non è guarito.
Nel frattempo, però, Johnson non sta seduto in panchina. La sua MJ Enterprises è una compagnia di costruzioni che vale 700 milioni di dollari, ma la cosa a cui tiene di più è la «Foundation». Il programma contro l'Aids «I stand with Magic» ha fatto test gratuiti a oltre 80 mila persone e condotto corsi di informazione per più di 600 mila adulti e ragazzi. Ha creato unità mobili che vanno direttamente nelle comunità più colpite a fare esami anonimi, e ha costruito una partnership con cinque cliniche, a Los Angeles, Oakland, San Francisco, Jacksonville e Miami, dove i sieropositivi vengono mandati per ricevere cure gratuite, se non sono in grado di pagare. I malati che non vivono in queste città sono indirizzati verso altre strutture convenzionate.
Ma il lavoro della «Foundation» non si ferma all'Aids. «La parola chiave è accesso: accesso alla sanità, certamente, ma anche all'istruzione e alla tecnologia, che possono risollevare le comunità più dimenticate del nostro Paese». Magic, attraverso il Taylor Michaels Scholarship Program, ha distribuito 386 borse di studio per il valore di oltre tre milioni di dollari, a studenti che sono poi andati in 96 università di 27 Stati. In genere figli di famiglie disfunzionali, senza genitori, senza casa o vittime di reati. Gente come David Johns, che si è laureato alla Columbia University, è direttore dell'organizzazione Impact, e lavora come Senior Advisor alla Commissione Istruzione e Sanità del Senato.
La «Foundation», poi, ha costruito 17 Community Empowerment Centers nei quartieri più poveri di grandi città come New York o Chicago, dove migliaia di persone imparano ad usare il computer, ricevono addestramento professionale, e anche aiuto per ottenere mutui e comprare casa. «La "digitai divide" era una discriminazione inaccettabile, perciò è partito questo programma. L'episodio che ricordo con più gioia - racconta Magic - è quando una dipendente ottantenne dell'ospedale Mount Sinai di New York mi abbracciò e disse: "Grazie a te, ora so come usare un computer"». Magic ride forte e ripete i due motti che ha imposto ai suoi dipendenti: «"Adapt and adjust", siate flessibili e pronti ad affrontare qualunque situazione; "Stay ready to keep from getting ready", cioè siate sempre pronti, per non dovervi preparare all'ultimo istante». In fondo, è quello che oggi gli consente di parlare così della sua malattia: «Io ho l'Hiv, è vero. Però l'Hiv non ha me».

 

Tante ricerche con il miraggio del super-vaccino
LE TERAPIE: «Oggi si riesce a tenere sotto controllo il virus». IL FALLIMENTO: L'ultimo è legato
ai test con un farmaco

(Valentina Arcovio) Se si guarda superficialmente ai progressi raggiunti fino ad oggi nella lotta all'Aids, è probabile che la prima parola che ci salta in mente è «fallimento». La cura non c'era 20 anni fa, quando Magic Johnson ha ufficializzato la sua malattia, non c'è ancora oggi, nonostante i 34 milioni di malati nel mondo e probabilmente non ci sarà neanche nei prossimi anni. Ogni tentativo di debellare il virus dell'Hiv ha portato infatti a vicoli ciechi, deludendo i pazienti ma anche gli scienziati che lavorano per la realizzazione di un vaccino, il Santo Graal contro l'Aids. Ma, se si cambia prospettiva e si guarda alla terapia, la lista dei successi si allunga significativamente. «Chi inizia la terapia precocemente ha un'aspettativa di vita praticamente identica alle persone sane», dice Stefano Vella, infettivologo e direttore del Dipartimento del farmaco dell'Istituto Superiore di Sanità. «Certo, si è costretti ad assumere farmaci ogni giorno, ma non dimentichiamoci che all'inizio i malati morivano subito», aggiunge.
Con il tempo la terapia a base di farmaci antiretrovirali è andata migliorando. «Vent'anni fa – spiega l'esperto - bisognava assumere 28 compresse tre volte al giorno, oggi ne basta una o due per ottenere gli stessi risultati, se non anche migliori».
La terapia poi si è rivelata un ottimo strumento di prevenzione. «I farmaci antiretrovirali non solo salvano la vita alla persona colpita dall'Hiv, ma anche quella di chi circonda il malato, in quanto rende il virus meno contagioso». Il principio è più meno identico a quello che guida il trattamento delle donne incinte durante la gravidanza e nel periodo successivo al parto, per evitare la trasmissione dell'infezione madre-figlio. Oggi molti studi mostrano che il principio può essere applicato anche in altre situazioni, per esempio nel caso di coppie in cui solo un partner è sieropositivo. Un risultato, questo, di tutto rispetto soprattutto per Paesi come il nostro, dove acquistare i farmaci è sicuramente più semplice. Anche se in Italia, dove ci sono da 143 mila a 165 mila persone sieropositive, si stima che una persona su quattro ignori di essere malata e quindi non viene sottoposta tempestivamente al trattamento.
La terapia, pur aumentando significativamente la sopravvivenza, però non è una cura. I farmaci non hanno risolto il problema. «Per prima cosa non curano - spiega Vella - ma aiutano a tenere sottocontrollo la malattia e sono costosi, il che li rende proibitivi nei Paesi poveri, dove il tasso di sieropositivi è alto».
Per curare definitivamente l'Aids purtroppo non c'è nulla da fare: molte ricerche accantonate e altrettanti progetti promettenti, ma ancora lontani dal paziente.
L'ultima delusione risale al vaccino Aidsvax, sperimentato da scienziati americani e thailandesi, l'ultimo successo è recente e riguarda il MVA-B spagnolo che si trova ancora in una fase di sperimentazione preliminare.