Che basket siamo? Che basket saremo?

27.02.2012 17:57 di  Sandro Spinetti   vedi letture
Che basket siamo? Che basket saremo?

Chi ha avuto l’avventura di iniziare ai tempi della pallacesto, di crescere e praticare la pallacanestro, di vivere e seguire il basket, ha certamente l’esperienza e la capacità per esprimere un giudizio equilibrato e compiuto sull’attuale momento del nostro sport.

La pallacesto è stato un elegante ed intrigante gioco, codificato ma rudimentale, un esercizio ludico all’aperto, una possibilità per ottenere un lavoro, una prima opportunità per farsi apprezzare e conoscere.

La pallacanestro, la prima e naturale evoluzione da gioco a vero sport, si è realizzata nelle palestre e nei primi palazzetti, ha chiesto un maggiore impegno e disponibilità agli atleti, ha elargito rimborsi e stipendi di un certo interesse, ha aperto le porte al professionismo.

Il basket ha ereditato tutto ciò, ha fatto di un gioco e di uno sport un vero lavoro, si è trasferito dai palazzetti ai palazzi dello sport, ha aperto fontiere e porte alle immigrazioni, ha prodotto numeri e quantità sempre più corposi e sulle ali dell’entusiasmo, ha pensato di essere ormai più uno spettacolo che uno splendido sport e si è dato regole e dimensioni che non gli erano propri ed ha perso la goliardia del gioco ed i valori dello sport.

La quantità è andata a totale scapito della qualità, l’apertura indiscriminata e costante alle immigrazioni ha cancellato bandiere ed identità di squadra, soffocato i vivai, ampliati i costi a dismisura e quello che doveva essere uno sport-spettacolo è finito per essere un grand’hotel non sempre seguiti dai nostri Media (leggi TV e non solo).

Questa evoluzione negativa e l’avvio di una sana (spero profonda) riforma, ci porta a molte considerazioni e ad alcune riflessioni che divengono utili e doverose.

1^ Riflessione:  crescita o revisione?

Il basket vive oggi gli abbandoni annunciati di Benetton e Toti, ha registrato importanti fallimenti negli anni scorsi, è in ansiosa attesa di segnali positivi da altre Piazze di Serie A e non sa quali partenti si schiereranno al via il prossimo anno.

Alcune Squadre blasonate hanno lasciato i Palazzoni per tornare nei palazzetti e non certo per lo stesso fenomeno che nel calcio sta desertificando gli stadi a seguito dell’overdose iniettata dalle Tv  (non c’è pericolo: il basket in TV latita), ma per una perdita di passione dei tifosi che non sempre riconoscono le loro squadre (rivoluzionate ogni tre giorni).

I conti economici non tornano per tantissime Società e la calata degli stranieri non ha prodotto alcun risparmio ed anzi, il perenne Supermercato li ha decisamente moltiplicati.

Vivendo in un Paese di calciofoli assatanati, non sapendoci spendere bene o spendendo tutto per una vittoria, stiamo uscendo dalla “bussola ” delle Tv e qui:  “'a nuttata” si fa nera e fonda.

Il basket è certamente in recessione e la riduzione di squadre e campionati è la prima risposta alla presuntuosa vita da “rospo borioso”, ma non può rimanere l’unica, altrimenti avremo truccato la testa e trascurato il corpo.


2^ Riflessione:  Quantità o Qualità ?

Il proliferare di Società, Tecnici e Giocatori (quantità), era scontato che avrebbe abbassato i valori del Movimento (qualità), non essendo possibile “clonare” i migliori Dirigenti, i più validi Allenatori ed i tanti Campioni prodotti ed apparsi tra gli anni ’60 ed ’80.

La pallacesto, come già detto, seminò i primi rudimenti di questo sport, la pallacanestro ne sviluppava tecnica ed organizzazione ed il basket, forte di siffatte esperienze, più che progredire, è esploso nelle sue presunzioni, moltiplicando i pani (squadre) ed i pesci (tecnici e giocatori) e finendo fuori controllo tecnico e fuori portata economica.

Ancora oggi tantissimi Dirigenti si affannano a sottolineare che gli Italiani costano troppo e che la rincorsa alla “borsa estera” è inevitabile: io direi che la generalizzata scorciatoia è troppo praticata, che nei settori giovanili operano centinaia di istruttori e tecnici da scuole serali (non è comunque colpa loro, ma di come sono istruiti), che la cultura dell’impegno, del sacrificio e del lavoro in palestra è stato da anni abbandonato o non considerato, lasciando che fosse il portafoglio di Presidenti e Sponsor  a produrre i Giocatori.

Gli Italiani costano troppo ? Ma se i posti per loro sono pochissimi e spesso da panchinari (offerta) e le aspirazioni sono moltissime (domanda), il loro prezzo dovrebbe seguire le leggi di mercato ed anche quelli buoni, se vogliono giocare in Serie A, non dovrebbero avere spazio per pretese particolarmente esose; ma la verità è che pochi sono all’altezza.

Il passaggio dalla pallacesto, alla pallacanestro e poi al basket, non ha avuto una crescita matematica, ma geometrica ed il basket si è totalmente dimenticato dei valori e delle esperienze pregresse e solo ora si è accorto che deve guardare al passato (riduzione dei costi, rilancio della qualità, recupero del rapporto con i Media), se vuole avere un futuro (considerazione, entusiasmo, appeal).


3^ Riflessione : il Professionismo ha delle colpe ?

Premettiamo che fare di professione il Dirigente, il Tecnico o il Giocatore non è un fatto negativo, al contrario e come tante altre professioni che si riconoscono nello spettacolo, più che produrre beni e servizi, sono utili ed apprezzabili, ma non bisogna “sbiellare”, andare fuori misura, pensare di aver il PIL sempre in crescita.

Alcuni si ricorderanno l’epoca segnata dal Messaggero Roma (alias Virtus Roma) e non solo per lo scudetto e la coppa europea, ma per essere stato il primo Club italiano a firmare un assegno da 1.000.000 di dollari per ingaggiare un giocatore (Brian Show): fu l’inizio di una vertiginosa crecita di ingaggi e stipendi.

Il Professionismo ci ha regalato, come spesso si ricorda, la Legge ’91 e la Bosman, quindi, la perdita del valore patrimoniale dei cartellini, la possibilità di aggirare ogni norma federale sul numero degli stranieri eleggibili e l’apertura del mercato continuo e costante (il tagli e cuci).

Tutto il movimento è stato proiettato verso l’alto (i costi di ogni campionato), si è preferito comprare (giocatori) più che produrli (nei vivai) e dal 1990 la Federazione (complice le Leghe) ha pensato bene di consentire l’importazione di  imberbi giovanotti per formare giocatori e fare cassa (la norma proteggi under è stata la solita cura all’italiana e la ferita inferta ai settori giovanili ha seguitato a sanguinare.

  4^ ed ultima Riflessione : ed allora ???

Allora, qualche cosa si è mosso, con il primo atto che riporta la A a 16 squadre, accorpa Lega2 ed A dilettanti, tagliuzza gli altri campionati e si è anche deciso di regolare meglio le eleggibilità straniere, la scelta degli under e di verificare la concretezza del valore patrimoniale delle Società e la disponibilità di impianti più idonei.

Dal Presidente Bruttini (legittima preoccupazione) al Presidente Barchiesi (in attesa di chiarimenti), al Presidente di Lega2 Bonamico (per nulla soddisfatto e consenziente alla riforma), un coro per sostenere i loro (legittimi) interessi, ma di proposte alternative ? Idee che superando le posizioni di parte siano a beneficio di tutti.

Del resto, del tantissimo resto, non una parola, ma tutto subordinato al basket che conta. E questo silenzio ci fa temere che non ci sia una visione completa ed una condivisa volontà che faccia ravvedere e rinunciare alle sole luci dei palazzoni, per riaccendere le candele nelle palestre e godere del sole dei nostri campetti, nei quali, pallacesto e pallacanestro sono nate e cresciute per divenire basket.
 

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