Cosa c'è dentro l'insalata russa alla canturina di Werther Pedrazzi

Cosa c'è dentro l'insalata russa alla canturina di Werther Pedrazzi

(di Werther Pedrazzi). Maledetti noi. E la nostra maledettissima voglia di innamorarci. Ancora. Sempre. Nonostante il luogo (il basket) e il tempo (la nostra età). Senza arrendersi e capire che innamorarsi è cosa impossibile, ormai,  “nei quartieri dove il sole del buon Dio non da i suoi raggi, ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi” (F. De André)…

E così… Da qualche giorno stavamo pensando di fare una scappata a Cantù, per parlare e conoscere Evgeny Pashutin, del quale ci stavamo follemente (platonicamente e professionalmente) innamorando, per scoprire l’uomo che stava dietro all’allenatore. Perché un (grande) uomo ci doveva pur essere dietro ad un allenatore che riusciva a far camminare una squadra figlia di una società (quasi) morta. Anzi, più che camminare quella squadra lui la faceva correre, giocare e divertire il pubblico… L’uomo che al giovedì aveva dichiarato alla Provincia di Como di aver ricevuto alcune offerte, ma le aveva rifiutate tutte, perché lui “ormai aveva Cantù nella pelle”, e la domenica successiva i sala stampa a Trento, dopo la bella vittoria in trasferta della sua Acqua San Bernardo, aveva confermato che la sua unica preoccupazione era “come finire al meglio la stagione in Brianza”… Eh si, che ci stavamo innamorando…

Ma poi… Martedì sera, dalla Malpensa, alle 18.30 prima di imbarcarsi su un aereo per Santa Madre Russia, aveva telefonato al suo vice, Nicola Brienza, per saltarlo ed informarlo di aver lasciato la macchina (della società) nel parcheggio con le chiavi sul cruscotto, e le chiavi dell’appartamento (sempre della società) inserite nella toppa…

Ma come… Scappato come un ladro? Senza dir niente a nessuno… Lui che spesso offriva le “pizzate” del dopo allenamento, durante le quali si esibiva a squarciagola con le canzoni di Pupo e Al Bano. E mercoledì era già sulla panchina dell’Avtodor Saratov. Suscitando la reazione di Roman Popov,: “Una sorpresa assoluta – ha detto l’amministratore delegato della Pallacanestro Cantù – Ha preso e se ne è andato in Russia come se nulla fosse. Ma la sua posizione all’Avtodor Saratov è irregolare. Solo io avevo, e continuo ad avere, il potere di firmare l’eventuale nulla osta. E non l’ho mai fatto”.

Mistero.

Dietrologia vuole, così dice la vulgata, che dietro, appunto, ci sia una sorta di vendetta del patron Dmitri Gerasimenko, la “primula russa” che in molti si ostinano a dare ancora rifugiato a Cipro, mentre, forse dopo la Brexit, potrebbe aver stabilito il suo quartier generale a Londra. La manina del Gera? Che sollecitando Pashutin a lasciare Cantù si alleggeriva ulteriormente di un debito contratto? Molto probabilmente è stata una telefonata a batter cassa da parte del bravo Evgeny, durante la quale Gerasimenko pare aver convinto il suo allenatore: “Via. Vai che ti conviene. Tanto appena cedo la società quelli che arrivano fanno piazza pulita, odiano noi russi, e ti cacciano ugualmente”. Chissà…

Intanto, il primo reale contatto con la riservatissima cordata Usa è andato in stallo. Gli americani si sono presentati con una proposta chiara e semplice: due milioni di euro, subentriamo immediatamente e ci accolliamo tutti i debiti. Naturalmente compreso il terreno ed il progetto del nuovo palazzetto, che è costato al magnate russo un milione e seicentomila euro, più altri trecentocinquantamila per il progetto, così da andare in pari. Altro piccolo mistero. Cosa vorrebbe di più patron Gerasimenko?  Se aveva dichiarato che la società di basket l’avrebbe ceduta a costo zero? Legittima dunque la pausa di riflessione degli americani che devono aver pensato, quando avremo le chiavi della società ed apriremo i cassetti, quante fatture ci troveremo dentro? E i contratti dei giocatori? Li ha fatti lui, il Gera, e c’è, e se c’è, quanto c’è dietro al minimo sindacale depositato in Lega… Quello che non c’è più è il tempo…

Sul ponte sventola bandiera bianca, occorre far presto, prima che l’acqua alta spazzi via anche il ponte… Perché intanto…

Intanto, si prepara la diaspora… Gli allenamenti sono a porte chiuse, ma a Cantù qualche voce filtra. Mitchell e Jefferson, ad esempio, è qualche settimana che dopo l’allenamento del martedì tirano su la borsa e salutano i compagni: “ “Ci vediamo venerdì”… E Udanoh? Il giorno prima scriveva su twitter “Questo è il nostro lavoro. Non lo facciamo gratis. Mi piacerebbe vedere come reagirebbero tutte queste persone che parlano di noi se andassero ogni giorno al lavoro senza venire pagati per mesi. Questo è il modo in cui ci prendiamo cura delle nostre famiglie come in tutti gli altri lavori. Pensateci prima di fare commenti poco informati”, e il giorno dopo zoppicava come se lo avesse investito un tir, e di certo mica poteva allenarsi… Però viene dato in rotta verso Trento (o Brescia?).

Se volete salvare i soldati canturini, fate presto. Il pan ci manca, sul ponte sventola bandiera bianca…

Werther Pedrazzi