Francesco Tabellini: «Tornare in Italia? Scelgo in base alla proposta cestistica»

Francesco Tabellini è stato ospite dell'ultima puntata di Alley Oop, trasmissione in onda ogni martedì su Revolution dalle 17 alle 18 e condotta da Eugenio Petrillo, Alessandro di Bari e Marco Lorenzo Damiani. Il coach ha parlato della sua esperienza in Repubblica Ceca, dei quarti di finale di BCL, degli anni a Treviso e del futuro. Segue un estratto delle sue parole.
La scelta di esplorare l'estero dopo tanti anni da assistente in Italia. “È stata una scelta piuttosto forzata, avevo da un po' di tempo l'ambizione e il desiderio di cimentarmi nel ruolo di capo allenatore in un campionato senior. Lo avevo già fatto per tanti anni a livello giovanile e volevo fare uno step in più. Sono rimasto otto anni a Treviso un po' perché mi trovavo bene visto che mi ha accolto e valorizzato e un po' anche perché avevo la speranza che avrei avuto un'opportunità da capo allenatore. Poi le cose sono andate diversamente. Delle circostanze anche sfortunate con dei cambiamenti a stagione in corso che poi hanno portato il club a muoversi in una direzione diversa. A quel punto io ho cercato di mettere in pratica quello che consideravo un mio sogno, però in Italia non c'era questa possibilità e quindi ho rispolverato tutti i contatti che mi ero fatto in quegli anni, anche facendomi avanti con club, con agenti, con persone all'estero. Ovviamente nei campionati maggiori per me non era una cosa realistica ottenere una possibilità e quindi ho cercato di esplorare le nicchie di mercato".
Il rapporto con Max Menetti. “Nel momento in cui io ho firmato con Praga mi sono sentito da subito piuttosto orgoglioso del fatto di essere riuscito a uscire dall'Italia e ho mandato subito un messaggio a Max ringraziandolo per la visione internazionale che mi aveva dato. Lui è arrivato a Treviso che aveva disputato la semifinale di Eurocup con la Reggiana l’anno prima e da subito ha spinto perché gli assistenti fossero concentrati sul lavoro della prima squadra. Il fatto di poter dedicare più tempo alla prima squadra e meno alle giovanili mi ha dato la possibilità di ampliare un po' i miei orizzonti, ho iniziato a guardare le partite di coppa, alcune squadre nei rispettivi campionati e da lì è una cosa che si estende un po' a macchia d'olio. Quindi devi ringraziare Max se ho sviluppato un respiro un pochino meno locale”.
Il percorso in Champions League con Nymburk. “Non ce l'eravamo proprio prefissati, tant'è che vincendo il titolo lo scorso anno ci saremmo aspettati di essere direttamente coinvolti nella fase a gironi della BCL purtroppo però il club che ha partecipato l'anno scorso non ha portato così in alto i valori della pallacanestro ceca e questo ci ha fatto precipitare nel ranking. Siamo quindi stati costretti a partecipare al qualification round che è un evento piuttosto crudele. Quindi già giocare la BCL per noi è già stato un bel successo per poi provare a fare il meglio possibile. Abbiamo vinto tante partite, abbiamo vinto il nostro girone, quello di Top Sixteen e poi ci siamo infranti contro il Galatasaray nei quarti di finale, che ha dimostrato di essere una squadra migliore di noi”.
Il futuro e il possibile rientro in Italia. “Non ho un desiderio da questo punto di vista, nel senso che adesso io scelgo in base alla proposta cestistica, non ne faccio una distinzione di nazionalità, di localizzazione geografica. La cosa che mi piacerebbe un domani, se dovessi tornare in Italia, sarebbe il fatto che il percorso che ho fatto in qualche modo mi venga riconosciuto. In Italia si tende a considerare un allenatore che non ha mai allenato da capo allenatore come un giovane o comunque uno a cui dare un'opportunità. A me piacerebbe che una squadra o un club che eventualmente fosse interessato a me lo facesse non in quanto giovane allenatore al quale dare un'opportunità, ma perché ha stima del mio lavoro e del percorso che ho intrapreso che mi ha portato ad essere l'allenatore che sono adesso”.
Il legame con Bologna. “Sono legato a Bologna, una città che chiamano Basket City per un motivo. Quando allenavo nelle giovanili della Virtus abitavo in centro, vivevo la città perché andavo avanti e indietro dall'Arcoveggio. Abitavo proprio veramente sotto le torri, andavo in bicicletta o in Vespa, al lavoro, tornavo, ero sempre tutto vestito Virtus e quindi anche il mio abbigliamento a volte scatenava commenti. C'era un tifoso Fortitudo che quando attraversavo Piazza Maggiore in bicicletta e mi vedeva tutto vestito bianconero mi cantava sempre ‘Virtussino bianconero il tuo posto è al cimitero’ e lo faceva con il sorriso”.
L'importanza di due figure come Marco Sanguettoli e Giordano Consolini a inizio carriera. “Marco Sanguettoli e Giordano Consolini, con il loro modo di allenare e di relazionarsi con gli altri, che fossero giocatori o allenatori giovani come ero io allora, sono stati la base della mia scelta di dedicare la mia vita professionale alla pallacanestro. Mi hanno subito conquistato, al di là delle competenze cestistiche che sono di altissimo livello per entrambi, ma è stato proprio il modo in cui si prendevano cura del loro ruolo di guida per allenatori e giocatori giovani. Questa cosa, unita al fatto che all'epoca, era il 2007, l’allenatore di settore giovanile era ancora un lavoro in Italia, mi aveva fatto da subito dire questo è quello che vorrei fare nella mia vita. Da grande vorrei fare il responsabile del settore giovanile della Virtus Bologna perché il modo in cui lo faceva Giordano mi piaceva molto e corrispondeva a una vita che mi sarebbe piaciuto vivere”.