La storia di Aiace (Stefano Albanese) può farci riflettere e risorgere

18.10.2011 18:12 di  Sandro Spinetti   vedi letture
La storia di Aiace (Stefano Albanese) può farci riflettere e risorgere

Eravamo oltre in 100 a Fontana Murata, un bella Masseria a metà strada tra Palermo ed Agrigento, per incontrare Stefano Albanese ed assaporare le pagine del libro che ne racconta le vicende umane e la storia sportiva.
Giornata frizzante e sole finalmente dominante sugli scrosci di pioggia, le raffiche di vento ed i lampi di un cielo nerissimo ed inusuale in terra di Sicilia, ha accolto la patriarcale parentela, gli attempati amici ed anche molti giovani sportivi che avevano dedicato la domenica ad un incontro decisamente fuori del comune.
Stefano era al centro dell’attenzione, il libro che parla dei suoi 50 anni di migrazione, crescita e successi era il motivo dell’adunata, mentre la maestosità agreste ed architettonica della Masseria di Cosimo Gioia e Giovannella Albanese (sorella di Stefano), facevano da cornice e da tempio alla emozionante ed al tempo stesso, semplice ed artigianale presentazione.
Dopo l’esordio a Vigevano alla presenza del Vate Bianchini, dei sommi Recalcati e Marzorati e della penna storica della nostra pallacanestro Enrico Campana, l’incontro siculo è stato meno formale e tecnico, ma più familiare e caldo ed ha avvolto il libro di quella emozione che solo la propria città, i propri amici ed i numerosi ricordi sanno amorevolmente offrire.
Il libro è ormai patrimonio di Vigevano, dove è stato ideato da Roberto Bernardini, edito da Pianetabasket.com, sgrezzato e coordinato da Campana, arricchito da quella immensa miniera di ricordi, giornali e foto che solo Stefano poteva raccogliere nei 67 anni della sua esistenza, ma è anche testimonianza e chiaro messaggio rivolti alla lettura ed alla riflessione dell’intera pallacanestro italiana.
Le testimonianze di alcuni grandi protagonisti dell’epoca, ma anche di oggi, Recalcati e Bianchini su tutti, le bellissime ed inedite foto della vita di Stefano, che si mischiano e si alternano tra quelle familiari con quelle sportive ed i ritagli di giornale, che scrivono le tappe del suo percorso cestistico, non sono un libro, sono una antologia che può essere assimilato ad un “piccolo museo” itinerante, da leggere d‘un fiato e da conservare in bella vista nel migliore scaffale di casa.
Il corposo volume testimonia il percorso che Stefano ha compiuto dal giorno che ha lasciato la natìa Palermo (1960) e la monumentale e verde Villa Albanese, per andare a studiare nel Collegio S. Giuseppe a Roma, imparare e crescere nella pallacanestro della collegiale Stella Azzurra di Fratel Mario (‘60/’69) e di raggiungere la Nazionale Azzurra partecipando agli Europei di Wroclaw in Polonia (1963) ed alle campagne d’oro della Nazionale Militare (Parigi e Damasco ’66, Bruxelles e Bagdad ’67).
Per chi ama la pallacanestro, basta ricordare che Stefano ha incrociato i muscoli con Art Kenney (Simmenthal Milano), battagliato con Dino Meneghin (Milano e Varese), fatto parte delle Nazionali Azzurre a fianco di Recalcati, Masini, Cosmelli, Barlucchi, Velluti, Vittori, Jellini, Gatti e tanti altri eccezionali interpreti dei due canestri.
L’umanissima storia del nostro “eroe” ci fa anche capire come un PICCIOTTO palermitano extralarge sia diventato AIACE e poi addirittura SUPREMO, super vigevanese ed essere oggi ed allo stesso tempo, una involontaria icona della Città Ducale ed una meritata testimonianza del valore dei tanti ragazzi del nostro sud.
Accennavo tra le righe della pallacanestro d’altri tempi, forse è così, ma quanto abbiamo visto ai recenti Europei lituani ci rilancia il passato, fino al tempo di Albanese e ci convince (anche se non vi era bisogno) che anche il basket dovrebbe copiare l’intelligenza, l’organizzazione e la dedizione della piccola Macedonia e non seguire solo l’incerto e troppo monotono e scontato mostrarsi della nostra Nazionale.
L’appunto al basket è spontaneo, quanto la retorica è fuori da ogni parola di questo breve articolo e se il libro non avesse il titolo di “Stefano Albanese”, ma solo quello più antologico di “Pallacanestro d’altri tempi” avrebbe lo stesso significato, la stessa valenza, lo stesso “compito” di far capire come eravamo, come non siamo e come dovremmo nuovamente essere.