All'italiano forte conviene giocare all'estero

Molto spesso ci soffermiamo sui giocatori italiani all'estero, chiedendoci cosa li spinga ad emigrare verso altre mete, altri campionati. E non è il caso di Gallinari, né tantomeno quello di Belinelli, i quali hanno scelto gli Stati Uniti e la NBA per ovvi motivi. Il riferimento in questione è tutto per Datome e Bargnani ma non solo, anche per Aradori quando scelse di vestire la maglia del Galatasaray prima e quella dell'Estudiantes poi.
Oltre a chiederci i motivi, glieli abbiamo chiesti. Ci siamo fatti delle domande e le abbiamo fatte anche a loro. Le risposte sono arrivate, tutte più o meno uguali: «Qui il basket si vive in maniera diversa», oppure: «Qui c'è meno pressione che in Italia».
Non ci credo, e non voglio crederci, di essere il solo ad aver udito certe dichiarazioni. Ma non soltanto nel contesto inerente alla pallacanestro, anche nel mondo del calcio se ne sentono eccome di frasi di questo tipo. Ricordo ancora le parole di Guidolin, ex allenatore dell'Udinese, quando passò al Monaco nell'estate del 2005. Erano identiche a quelle riportate in precedenza, con un unico tema in primo piano: la pressione. Così come simili furono quelle di Ranieri, un autentico "Englishman", diventato tale dopo anni e anni oltremanica. Per non parlare delle frasi pronunciate dai giocatori ma evitiamo, torniamo al tema cestistico.
GENTILE-DATOME, DATOME-GENTILE
Ieri (giovedì) al Forum di Assago si sono fronteggiate Olimpia e Fenerbahce. Gentile contro Datome. Ecco, a dirla tutta i due non hanno giocato una gran partita ma andiamo con calma. Ieri sera, Gentile - che ha giocato molto meno bene del compagno di Nazionale - si è preso i soliti insulti nel post partita. L'ex capitano biancorosso è stato preso e messo al patibolo, come capro espiatorio. Tutte le colpe erano sue, solo sue. Quante volte abbiamo assistito a questa scena? Quante volte Gentile ha subito un trattamento diverso rispetto ai suoi compagni? Una marea. E questo perché è italiano e anche molto forte. Dunque, se sei forte, sbagliare qualche partita non ti è concesso minimamente.
Venendo a Datome, invece, ieri al Forum "Jesus" non ha di certo brillato, eppure è stato di gran lunga il più acclamato dal pubblico ospite. A fine partita, cori e applausi per lui. In Italia, cosa sarebbe successo? L'opposto, probabilmente anche qualche fischio. Datome, in passato, è stato anche accostato all'Olimpia. Lasciata la NBA, Milano fece un tentativo per riportare in Italia "Gigi" ma non se ne fece nulla. Lui preferì una grande squadra, non che l'EA7 non lo fosse ma semplicemente preferì un società di una certa caratura (e con un certo budget) in Europa. E' soltanto una ostra opinione ma siamo convinti che nella testa di Datome non ci sia mai stato un solo pensiero di giocare in una big italiana. Meglio farlo all'estero, meno richioso e più accattivante (economicamente e per il progetto del Fenerbahce).
CAPITOLO BARGNANI
Stesso discorso per il "Mago", anzi, ancor più calzante. La scorsa estate Bargnani fu, a differenza di Datome, davvero vicinissimo ad approdare a Milano. Offerta sul tavolo, rifiutata e rimandata al mittente. «Chiedeva troppo», dicono. Può essere ma questo non l'unico motivo. Bargnani può anche aver sparato una cifra alta perché all'Olimpia non voleva venirci, della serie: «Se mi danno tot, magari ci ripenso, altrimenti...». Andrea è già abbastanza disprezzato nel Bel Paese, per il suo carattere arrogante e per la sua "mollezza" in campo, chi glielo faceva fare a tornare in Italia dopo dieci anni? Anche perché se avesse firmato all'Olimpia a cifre folli - si parlava di un milione e mezzo di dollari a stagione - tutta la platea biancorossa si sarebbe aspettata che ogni pallone toccato diventasse oro. Roba da trenta punti di media in EuroLega e 45 in Serie A. Meglio andarse nel paesi baschi, in una società comunque gloriosa come quella del Baskonia, dove nessuno ti può rompere le scatole anche per uno starnuto.
ARADORI
Veniamo ad Aradori, campione che ormai siamo abituati ad ammirare con la maglia di Reggio Emilia ma che nel passato recente ha provato l'esperienza all'estero. Per sua scelta, precisiamolo. Dopo il divorzio con Cantù (lui sarebbe anche rimasto ma la società brianzola non era della stessa opinione), da oltre 15 punti a partita, il bresciano ha vestito le maglie di Galatasaray ed Estudiantes. Motivo? Per crescere e migliorare, contro i più forti. «Perchè i più forti non giocano più in Italia», disse. E aveva ragione. Una scelta coraggiosa, quella di Aradori, ma sensata. Qui, il discorso è un po' diverso rispetto a Bargnani e Datome, ma in parte è lo stesso. Aradori disse anche questo dopo l'esperienza spagnola: «In Spagna c'é una cultura diversa da quella italiana. Al palazzetto ci va tutta la famiglia. In Italia, i padri, lasciano i figli a casa per paura di un ambiente ostile». Ma soprattutto, adesso arriva il bello: «In Spagna non esiste insultare l'avversario, in Italia i tifosi lo fanno dall'inizio alla fine e senza motivo». Non sarà pressione questa ma è pur sempre un qualcosa di fastidioso per un giocatore italiano, forte.
MELLI
E per finire, Nicolò Melli. Discorso completamente diverso, questa volta per davvero. Il biondino di Reggio Emilia fu costretto ad emigrare, anche se la scelta non dipese da lui ma da Milano. Quella stessa Milano che non ha mai creduto in lui, perché non ha mai ritenuto Melli un giocatore italiano forte. Perché quelli bravi, ma soprattutto quelli che vogliono vivere serenamente, giocano all'estero (vero Hackett?). Adesso, guarda caso, Melli a Bamberga sta facendo cose clamorose... guarda caso. Forse agli italiani forti conviene davvero andare all'estero.
Editoriale a cura di Alessandro Palermo,
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